mercoledì 28 settembre 2011

FORZA CAOS

Lasciamo perdere il fatto che il peggiore governo della storia della Repubblica Italiana non dovrebbe avere titolo neanche a legiferare dopo le esibizioni a cui ci ha costretto ad assistere, mentre chi dovrebbe, con qualsiasi mezzo, fare in modo che il Buffo Omino di Arcore e la sua banda di gaglioffi vengano al più presto mandati a testare i comfort delle patrie galere ed invece si limita ad urlacchiare in qua e là che così non si va avanti.
Ormai è un copione che ha ampiamente stufato e quindi in attesa che il Popolo Sovrano si ricordi che, nascosta da qualche parte nei vocabolari italiani esiste la parola "dignità" ci arrivano i buoni consigli da parte di chi continua a dare il cattivo esempio.
La ricetta del giorno é: "liberalizzazione delle professioni, maggiore flessibilità del lavoro, dell'istruzione e il training" confidando nello "spirito imprenditoriale" e "nella capacità individuale delle famiglie a fare impresa".
Non so voi, ma a me la traduzione in italiano corrente di questa ricetta non è servita, l'ho capita benissimo da solo.
Intanto il tizio che si è lanciato in sì ardita proposizione è il presidente della BancaCentraleEuropea, Trichet.
Una volta si diceva: "Falqui, basta la parola!" e il cesso di casa vostra rischiava l'intasamento.
Ora basta che uno dei testoni che fanno girare non già le patonze, bensì le economie degli Stati ed i Santi Mercati, dia aria alle carie che miliardi e miliardi appaiono e scompaiono manco ci fosse di mezzo il Mago Oronzo.
E le loro ricette le conosciamo benissimo, meglio di quanto le conoscano loro che, per l'appunto, sono abituati a palleggiarsi le vite delle persone in base ai Santi Mercati.
Per chiunque mastichi anche un minimo di italiano, come dicevo, la ricetta è chiarissima.
E cioè quella che i nostri politici stanno indefessamente applicando da almeno 20 anni, con l'unica variabile dell'ostruzionismo di qualche facinoroso, il quale obietta che con questa ricetta si arricchiscono solo speculatori, ladri e delinquenti come le banche ed i loro sodali, mentre il popolo, la gente, i lavoratori, precipitano inesorabilmente in un abisso di miseria sempre più profondo. Miseria economica e miseria morale ed etica.
Francamente è buffo vedere un paese dove chi si alza e comincia ad inveire in modo adeguato contro questa macelleria sociale venga regolarmente manganellato e gassato al CSS da gente che a sua volta si piazza davanti a Montecitorio per inveire contro questo serraglio di buffoni, incompetenti e delinquenti.
Ed è buffo vedere che uno come il presidente della BCE abbia come unica ricetta quella di mandarci definitivamente a fondo.
Mettiamoci l'anima in pace: il comunismo è fallito miserevolmente, specialmente qui in Italia dove invece di estinguersi politicamente ha semplicemente cambiato faccia (strano, pensando che siamo in Italia, noi sempre così inossidabilmente coerenti..) e svelato che 80 anni di scuole di partito, di teorie gramsciane, di lotte per i diritti dei lavoratori, di comitati centrali e di assemblee hanno portato a un D'Alema che va a mendicare riconoscimenti in Vaticano.

Quindi la crisi e la conseguente futura caduta del capitalismo mi mette vieppiù di buonumore, pensando che con una scarna ed essenziale organizzazione, una manciata di cosine che possono fare tanta bua ed una adeguata ghigna a culo saremo pronti, visto che stanno spianando a quella che è l'unica vera ricetta per ricominciare a mettere un pò di cosine al loro posto: il CAOS.

lunedì 26 settembre 2011

GLI OTTANTA NERI 8

Non sono mai stato fra quelli che riesce a riconoscere un chitarrista dal tocco, fatta eccezione per Jimi Hendrix.
Anzi, ad essere onesto non sono un cultore di chitarristi tout court.
Oltre a Jimi ce n'è uno solo che riconosco alla prima pennata, ma non per il tocco o per il modo in cui imposta le scale durante gli assoli, ma dal SUONO.
Ed appena parte il pezzo, un qualsiasi pezzo, al secondo 0:02 subito mi esce dalla bocca: "HUSKER DU"!
Perché quel suono, quell'onda elettrica che esce dall'amplificatore che sa di pioggia mista a fango, violentissima e carezzevole non può essere altro che la chitarra di Bob Mould.
Gli Husker Du sono un gruppo che se non fosse esistito tutti gli anni '80 non sarebbero stati gli stessi.
Mi rendo conto che l'affermazione è un pò azzardata, ma sono perfettamente in grado di supportarla con tanto di prove.
Sono stati il primo gruppo proveniente dalla scena punk/hardcore a firmare per una major, la Warner Bros., dopo una militanza nell'etichetta SST di Greg Ginn, chitarrista dei Black Flag, un'etichetta che può essere considerata a tutti gli effetti un mito.
Qualche nome che ha inciso per la SST, al volo: Black flag, Bad Brains, Minutemen, Screaming trees, Meat puppets, Replacements, Firehose, Descendents, Soundgarden, Saint Vitus, Saccharine trust.
Tanto per gradire.
Al momento della firma per la Warner Bros. gli Husker Du contavano già su una nomea inossidabile e di una discografia di eccezionale livello che aveva garantito loro un seguito appassionato e devoto.
La loro storia inizia in maniera molto rumorosa: l'esordio è un album dal vivo, "Land speed record" inascoltabile ai limiti della cacofonia per chiunque non mastichi hardcore, una furia incontrollata che non ha nulla a che fare con gli assalti furiosi, ad esempio, dei Discharge di "See nothing, feel nothing, hear nothing" e "Why?".
Qui è tutto molto più scomposto, ad iniziare dalla produzione e dalla resa su vinile.
Il disco sembra registrato con un microfono Geloso vagante fra l'audience, per essere onesti, ma effettivamente il risultato finale è stupefacente. Inutile prendere un pezzo a sè. "Land speed record" è un disco che va messo su, fatto partire e lasciato andare lasciandoci aggredire senza opporre resistenza.
Esce l'anno dopo "Everything falls apart", che dà un'idea più precisa delle potenzialità della band. E del suono inconfondibile che caratterizzerà i lavori successivi. Sicuramente non è fra i loro lavori imprescindibili, ma è abbastanza valido da creare una certa attesa nel circuito hardcore, proprio nel momento in cui la scena andava compattandosi sulla spinta della situazione politica che vedeva l'astro di Ronald Reagan iniziare la sua tragica ascesa. Arriva "Metal Circus", un EP di 7 pezzi e dall'attesa si passa alla quasi certezza che qualcosa di grosso sta bollendo in pentola. Perché pezzi come "It's not funny anymore" e "Diane" dimostrano che gli Husker Du non sono un semplice gruppo hardcore ma una band con un'identità ben precisa e personale, a partire proprio dal sound della chitarra di Bob Mould, nonchè dal drumming del batterista Grant Hart.




Corre l'anno 1984 quando esce "Zen Arcade".
Non so quanti di coloro che stanno leggendo qui conoscano bene questo disco, quanti lo abbiano ascoltato a fondo, quanti lo amino o quanti lo considerino semplicemente un disco punk fra i tanti usciti negli anni '80.
Posso solo consigliare a chi volesse avere un disco che rappresenti un'icona per tutto ciò che è ed è stato il punk post '77 e la sua ramificazione hardcore di rivolgersi senza nessun indugio a questo disco.
Innanzitutto "Zen Arcade" uscì come disco doppio. Una cosa inaudita per un gruppo hardcore come era considerata fino a quel momento la band di Minneapolis. Ma a conti fatti la cosa risultò anomala solo per chi manteneva anche nell'approccio alla scena punk un atteggiamento conservatore, perché "Zen Arcade" è niente più niente meno che il capolavoro assoluto ed imprescindibile del punk anni '80.
E questo in un decennio che di capolavori del genere ne ha visti parecchi: da "Damaged" dei Black Flag, a "Repeater" dei Fugazi, a "Rock for light" dei Bad Brains (anche se con il "Live" è una bella gara) o con "Suffer" dei Bad Religion.
"Zen arcade" è un disco che definire Hardcore non è solo riduttivo, è stupido.
Innanzitutto la scrittura. I brani sono firmati individualmente o da Bob Mould o dal batterista Grant Hart.
Ed ognuno canta i propri pezzi. Mould ha una scrittura fluida, dal tratto riconoscibile, la struttura è assimilabile ed in certi tratti quasi melodica, quando non addirittura simile a quelli di una ballata, ma il sound è quello ormai inconfondibile che marchierà a fuoco la carriera della band. Grant Hart ha anch'esso un approccio alla scrittura fondamentalmente punk, ma anch'esso ha una personalissima capacità di sviluppare canzoni dalla presa immediata e coinvolgente, il suo drumming poi fa il resto perché Hart ha un modo di impostare i ritmi con uno stranissimo gioco di cassa e rullante e che rende comunque i brani assolutamente trascinanti nonostante difficilmente si sente il canonico 4/4 in controtempo suonato normalmente nell'hardcore. "Zen Arcade" non è un disco omogeneo, tanto per usare un eufemismo, e questo per una band proveniente da quella scena significa mettersi in gioco, e pesantemente.
L'altra caratteristica che pone l'album su un altro piano rispetto alle altre band hardcore dell'epoca è che "Zen Arcade" è un concept album.
La storia è quella di un adolescente di fronte alle proprie problematiche ed alienazioni che passano dai conflitti familiari, alla ricerca di un proprio concetto di disciplina, alla spiritualità, alle droghe ed al senso di inutilità, per poi scoprire che il suo viaggio è accaduto in sogno e che al risveglio le problematiche sono ancora lì per essere risolte.
Ma anche questo aspetto che li accomunerebbe più ad una band prog rock, proprio quelle che il punk aveva intenzione di spazzare via, si risolve con una personale vittoria nel lasciare intatta la propria attitudine.
A partire dalla coppia che apre il disco: "Something I learned today" e "Broken Home, Broken heart".
Alla terza traccia parte "Never talkin'to you again" e prima strabuzzata degli orecchi. Una ballad acustica, nervosa e declamatoria in minore. E poi si vola: "Chartered trips":




Si può notare come il sound non sia propriamente simile ad un curatissimo prodotto da studio.
In effetti "Zen Arcade" fu registrato in meno di una settimana ed in presa diretta, dopo mesi e mesi di prove in una chiesa sconsacrata diventata uno squat.
Ma ogni musicofilo che si rispetti sa benissimo che non è necessario usare tecnologia ad alta sofisticazione per fare un grande disco.
E le perle in questo disco abbondano. Due fra le tante:




Ma impossibile racchiudere in poche righe la compattezza e la magìa di questo disco se si considerano tracce come "Somewhere", "Newest industry", "Turn on the news" ed il delirio finale "Dreams reoccurring" che chiude il disco.
Dopo cotanto capolavoro il marchio è ormai fatto.
Segue un uno/due che ne solidifica definitivamente la reputazione di band imprescindibile; a breve distanza l'uno dall'altro escono "New day rising" e "Flip your wig".
C'è chi riesce ad argomentare su questi due dischi cercando improbabili differenze, ma a mio parere è un esercizio assolutamente retorico: sono due bellissimi dischi di canzoni degli Husker Du.
Se proprio si vuol trovare una caratteristica infatti, questa risiede nella riuscita di alcune tracce che esaltano la qualità della scrittura di Mould e Hart che partoriscono dei brani che diventeranno dei veri e propri inni per la loro ormai nutrita schiera di fans. "New day rising", ad esempio, ha un inizio killer:




 seguito dalla splendida "The girl who lives on heaven hill"




e tutto il disco contribuisce a rafforzare la nomea di alfieri dell'anomalia hardcore: i testi, più che cantare un disagio nei confronti della società, puntano ad una analisi più introspettiva e personale, una revisione dei sentimenti e della propria difficoltà di comunicare che col tempo andrà sempre più ad acuirsi.
"Flip your wig" continua su questo sentiero e contiene pezzi ancora memorabili, nonché il loro primo vero e proprio singolo: "Makes non sense at all"




I ritmi si son fatti meno forsennati, ma l'inconfondibile sound del gruppo non fa che acquistarne in resa della scrittura dei due leaders della band, che continuano ad avvalersi del basso preciso e grintoso di Greg Norton, pedina comunque imprescindibile della band. "Flip your wig" li incorona definitivamente come pionieri della ricerca melodica in ambito punk e la maggior parte dei brani rimangono stampati in mente indelebilmente già dopo pochi ascolti. Ancora un grande disco, quindi.




E qui succede quello che ogni punk duro e puro sperava non accadesse mai, la firma con la Warner Bros.
Ovviamente si levano voci indignate urlanti al tradimento, ovviamente la polemica indie/majors, cos'è punk e cosa non lo è, se il punk esista ancora o abbia raggiunto un punto evolutivo per cui stia diventando anche "altro" si sprecano.
Personalmente non posso fare a meno di notare che, truffa del rock 'n roll a parte, il punk è nato sulle etichette major, inutile girarci intorno.
I Ramones uscirono per la Sire, cioè la RCA. E così Dead Boys e Johnny Thunder & the Heartbreakers.
I Clash uscirono con la CBS, mentre i Damned uscirono per la Stiff records che era già una etichetta poco assimilabile ad una major ma era distribuita anch'essa dalla RCA.
Lo provano le copie promozionali dei 45 giri per DJ che ho ancora in casa dove ho da un lato "Sex & drugs and rock 'n roll" del grande Ian Dury e "Born to lose" di Johnny Thunder & the heartbreakers dall'altro lato con etichetta Stiff per il primo ed etichetta Track records per il secondo e marchiata RCA in copertina su entrambi i lati.
Parimenti è fondamentale riconoscere il fatto che, passata la prima onda, è stato proprio il lavoro fatto dalle etichette indipendenti quello che ha permesso a gruppi eccezionali come ad esempio quelli della SST, ma anche a pietre miliari come Dead Kennedys, Minor Threat (che avevano la loro Dischord, altra etichetta-mito), Bad Religion o Discharge di presentarsi sul mercato senza l'ausilio delle grandi major discografiche e raccogliere un seguito più che importante in tutto il mondo.
La firma degli Husker Du con la Warner Bros. spezzò questo percorso.
E al di là delle considerazioni etiche il risultato fu un altro bellissimo disco, "Candy apple grey".
Questo dopo un altro Ep, l'ultimo su SST,  contenente la cover di "Eight Miles High" dei Byrds, un'altra anomalia per la band, con una resa sorprendentemente eccellente ed in perfetto stile Husker Du.
"Candy apple grey" è un bellissimo disco degli Husker Du inciso per una major. E si sente.
Sia nella scrittura che si sta avviando ad una maturità che probabilmente è da correlare con l'esperienza e la crescita umana del gruppo, sia nel sound che si fa più "pulito" nonostante la chitarra di Mould ed il drumming di Hart siano ancora gli stessi. Spuntano le ballad, alcune bellissime come "Too far down" che rimarcano la vena intimista e fondamentalmente depressa di Bob Mould, alcune ancora ancorate alla attitudine marchio della band "Sorry somehow", ad esempio:




anche se a mio parere l'episodio più riuscito del disco è senza dubbio "Eiffel tower high" che riassume da solo il vecchio ed il nuovo percorso della band:




Il gruppo non è da charts di Billboard comunque, anche se le vendite sono incoraggianti tanto che la band nel lavoro successivo se ne esce con un altro doppio: "Warehouse: songs and stories".
Che non è, non vuole essere e comunque non sarà mai un altro "Zen Arcade".
Anzi, per dirla tutta sarà l'epitaffio degli Husker Du.
Le tensioni tra Mould e Hart hanno raggiunto il punto di non ritorno, la band non ha più la spinta del periodo migliore ed anche i pezzi cominciano a risentire di un certo manierismo sintomo di crisi creativa ed umana della band.
Nonostante ciò non mancano episodi di livello altissimo, come "Ice cold ice"




Ed in tutta onestà il disco in sè sarebbe anche un bel disco che potrebbe essere catalogato come power-pop /punk se qualcuno avesse il coraggio di usare una definizione idiota come questa; invece nonostante il marchio Husker Du sia sempre riconoscibilissimo, "Warehouse: songs and stories" risente più del confronto con i lavori precedenti che per la qualità del disco in sè. Ma anche questo è sintomatico del fatto che la parabola del gruppo ha preso una china discendente.
Anche se c'è chi lo considera a tutt'oggi il loro disco migliore.
Non il sottoscritto, per quello che serve.
Il gruppo si scioglie dopo una data in Missouri, sfibrata dalle tensioni fra i due leaders, acuitesi dopo il suicidio del manager della band, e dai problemi di eroina di Hart.
Un live, "The living end" uscito immediatamente dopo lo scioglimento, mette la lapide sulla band che più di ogni altra ha marcato l'evoluzione della scena hardcore degli anni '80.
Non credo che sia stata adeguatamente rivalutata anche perché pur avendone discretamente tracciato il sentiero è stata travolta dall'uragano grunge arrivato subito dopo. Ma il tempo non potrà che rendere loro giustizia.
Sempre che una giustizia esista.
Chiudo con una frase inserita da Bob Mould nella copertina interna di "Warehouse: songs and stories":
"La rivoluzione inizia al mattino, preferibilmente davanti allo specchio del bagno"
Sottoscrivo.

sabato 24 settembre 2011

SULL'ORRORE A 33 GIRI, SULLA CRITICA DELLA RAGION PURA E SUGLI SUGLI BANE BANE

Non so se nella policy della blogsfera sia corretto pubblicizzare spudoratamente un altro blog.
Ad essere sincero non è che la cosa rivesta per me un particolare interesse, quindi passo senza ulteriori indugi a presentare prima di tutto il responsabile del perché di questo post e cioé il blog "Orrore a 33 giri".

Cioè, ho scelto di descrivere il contenuto di questo stupendo blog perché il trash ha ancora un qualche fascino sul sottoscritto, anche se ho una soglia di tolleranza un pò più bassa del mio amico Michele detto Mago Afono e della combriccola con cui di solito si accompagna e che fino a poco tempo fa si dilettavano in orrende cene che terminavano con copiose ingurgitate di Brancamenta, probabilmente la bevanda più trash mai apparsa sul globo terracqueo prima dell'apparizione del "Violenza del Proletariato" (l'unico cocktail in grado di stendermi al secondo bicchiere).
L'altra ragione è bisogna che indori la pillola.
Perché la causa di questo post è una cosa che ho trovato proprio dentro "Orrore a 33 giri" e che ho scelto di mettere in fondo.

Navigando per questo meritorio ed imprescindibile sito si incontrano parti dell'ingegno umano che alla fine possono piallare all'istante tutte le nostre convinzioni sull'effettiva bontà delle teorie evoluzionistiche e far risalire in noi il dubbio che effettivamente il dichiararci la specie più evoluta del pianeta in alcuni casi è soltanto un tormentone autoreferenziale inventato da qualche buontempone in vena di facezie e che probabilmente alcune specie animali hanno invece compreso l'entità del dramma ed hanno deciso, nella loro immensa bontà e magnanimità di fare da badanti a qualche elemento della specie umana in modo da tenerne il più possibile sotto controllo. Magari noi nella nostra immensa stupidità pensiamo che i gattini da cortile stiano lì a scroccare l'abnegazione delle gattare o i cani siano animali da compagnia completamente dipendenti dal padrone.
Un giorno potremmo scoprire che non è così, cercano solo di aiutare delle bestie in chiara difficoltà e con una irreversibile confusione mentale.
Un pò quello che facevano i topi ed i delfini nella saga della "Guida galattica per autostoppisti" di Douglas Adams.
Questa tesi è avallata, oltre che da innumerevoli fatti che abbiamo agio di leggere tutti i giorni, da alcuni prodotti del nostro - ehm - ingegno e che "Orrore a 33 giri" sta minuziosamente mettendo in fila.
Si incontrano quindi un "Bis bis Biscardi" cantato da Pippo Franco il quale non era ancora contento degli antichi fasti del suo vecchio e mai dimenticato "Cara Kiri" del 1971 contenente l'immortale "Cesso" il cui primo verso recitava "Cesso/di amarti questa sera", e della copiosa discografia che seguì .
Oppure una riedizione di quelle compilation dal titolo non si sa se semplicemente idiota o volutamente coatto stile "80 voglia disco party" in salsa anni '2000 dal titolo "Girano le pale"  dove troviamo l'onnipresente Gianni Drudi coverizzare "Dragostea din tei", l'unico motivo veramente plausibile per chiedersi perché i rumeni non se ne stanno a casa loro (a differenza dei moldavi Zdob si Zdub che sono stati un gruppo eccezionale e che facevano un culo così ai Mano Negra, e qui sono serissimo) e conclusa dall "Uomo gatto rap" cantata da un concorrente di "Sarabanda" programma che non mi sono mai coperto e che però immagino non dover rimpiangere.
Oppure in una di quelle cose capaci di far veramente incazzare, tipo la versione Ramonesizzata degli Abba che non poteva non chiamarsi "Gabba" (eli eli, lama sabachtani?) o il disco di canzoni di Natale di Billy Idol
Oppure le coattate anni '80 a tema "la banana e le sue metafore", tema che ha scatenato più di un cesellatore di pentagrammi (nel link una Jane Chiquita particolarmente soddisfatta) , nonché una pletora di personaggi improbabili ed improponibili, famosi e non, tutti immortalati e catalogati minuziosamente con cura.
Non poteva sfuggire l'arcipelago gay, che in materia sa offrire perle di rara trashezza e con nomi manco da poco quali Aldo Busi o la non ancora Eva Robin's ma già non più Roberto Coatti propinarci una versione ballroom del tema della Pantera Rosa sotto il nome di Cassandra
Il trash è materia, comunque che va maneggiata con molto buonsenso, un pò come la nitroglicerina ed il charas.
Il rischio di sconfinare nell'inutilmente greve e stupido catalogo da italiota medio è sempre dietro l'angolo e lo scorrere il blog ce ne dà continua conferma. Per qualcuno il limite è abbondantemente superato a prescindere ma una discreta dose di ironia e di sano vaffanculismo proprio nei confronti di certi stereotipi può aiutare a superare ed esorcizzare certe figure retoriche costruite proprio sulle caratteristiche dell'italiota medio. Personalmente le vedo proprio come una fondamentale presa per il culo di tali soggetti, anche se..................
Ecco, avevo detto che volevo indorare la pillola.
Accade che arriva qualcosa che ti fa capire come le cose stiano scorrendo in maniera troppo veloce.
Rischiamo di dimenticare cose che invece andrebbero ricordate, a maggior ragione con l'attuale susseguirsi di eventi.
Eppure era solo il 2009.
No, di questa cosa qui NON DOBBIAMO DIMENTICARCENE MAI PIU'
Perchè è bene ricordare quanto in Italia ci fosse, e probabilmente da qualche parte c'è ancora, qualcuno col cervello completamente bruciato.
Se qualcuno ha il fegato può divertirsi a mandare questo ultimo link alle redazioni dei giornali esteri più prestigiosi che so, l'Economist, il Financial Times oppure alla stampa più popolare tipo la Bild, il Sun o cos'altro credete meglio. Tanto per dare una rinfrescata anche a loro.
Avrete capito di chi parlo, sicuro, è il Buffo Omino di Arcore.
Ma non è il disco con Apicella, non è l'inno di Forza Italia e non è "Meno male che Silvio c'è".
E' stato fatto di peggio e se non lo ricordate ho ragione a sostenere che le cose stanno correndo troppo in fretta.
Un caloroso grazie al/ai curatori di "Orrore a 33 giri" ai quali ricordo che la mancanza di Di Quinto Rocco va assolutamente colmata pena una virale irritazione del Mago Afono e dell'amico Babago, fans devoti ed inossidabili.
(nella foto: chi se le ricorda come minimo ha la dentiera o svariate diottrie in meno o probabilmente la gotta)

venerdì 23 settembre 2011

LA SOTTILE DIFFERENZA FRA IL FARE CENTRO E PRENDERE UN MURO A TESTATE

Premetto di non voler dare lezioni a nessuno.
Quanto segue sono opinioni che ho già espresso in pubblico e che non avrò nessun problema a ripetere a chiunque in qualsiasi sede.
E' uscita la lista dei politici omofobi i quali in realtà sarebbero omosessuali.
E sticazzi, dico io.
La cosa è nata dopo l'ennesima bocciatura delle legge anti-omofobia, fatto piuttosto controverso perché sicuramente la proposta di legge era scritta abbastanza alla cazzo di cane, ma è anche vero che il passare quella legge sarebbe stato un segnale chiaro verso quella parte di cittadini ancora attaccati all'idea che randellare una persona in ragione alla sua appartenenza di genere non era più un comportamento tollerato. Per legge. E questo , nella succursale vaticana chiamata Italia non sarebbe stato un segnale da poco.
E quindi vendetta, tremenda vendetta.
Ora, letta la lista ho notato due cose.
La prima è che non c'è neanche una donna. 10 a 0 per gli uomini e palle al centro.
La seconda è che non ho cambiato di un atomo l'opinione che avevo riguardo questi personaggi.
Li vedevo benissimo accasati in un campo di lavoro nella tundra siberiana con pala e picozza 14 ore al giorno prima e li vedo benissimo in un campo di lavoro nella tundra siberiana con pala e picozza 14 ore al giorno dopo aver letto la lista.
Ora, vediamo un pò di cosa si parla quando si parla di lotte per i diritti, quindi usciamo dal recinto di questa polemica lasciando le porte spalancate e cerchiamo di considerare la problematica in un'ottica globale.
Il diritto di poter vivere la propria sessualità e le proprie inclinazioni dovrebbe - e sottolineo dovrebbe - essere un diritto inalienabile di ogni individuo.
I sostenitori della "teoria" secondo la quale "affinché non limitino o calpestino la libertà di un altro" sono pregati di spiegare diffusamente in che modo questo possa avvenire.
Ad esempio, fatico a capire perché se uno viene disturbato dalla visione di due persone dello stesso sesso che si baciano debba sentirsi limitato nella sua libertà. E' un SUO problema, non delle due persone che si baciano.
Anzi, direi che il "disturbato" sia IL problema, perché il sentirsi disturbati da una manifestazione di affetto o di amore è sintomatico di un problema che probabilmente è bene che il soggetto affronti con calma e serenità.
Il risultato potrebbe essere sorprendente.
Quello poi che reagisce con la violenza, ça va sans dir, sarebbe bene ricorresse ad una qualche forma di cura, abbiamo qui in Italia fior di analisti che si preoccupano di fermare le fughe di cervelli dalla realtà (anche se i risultati sono invero pessimi, ma questo è un altro discorso).
Ma andiamo oltre.
Francamente non sono molto informato riguardo le dinamiche del movimento LGBTQ, se non che ha una sigla impronunciabile e che anche là dentro non sono tutte rose & fiori, ma trovo questo assolutamente normale, anche considerando che la versatilità del cervello umano non conosce genere nè orientamento sessuale.
So per certo che non se ne vedono molti quando c'è da lottare per altri diritti, se non a titolo personale ed in proporzione decisamente sparuta.
Trovo però utile fare delle considerazioni riguardo la strategia di lotta per i diritti individuali intesi nella loro accezione globale.
I diritti dell'individuo, quelli che dovrebbero essere capisaldi inamovibili a garanzia di una comunità che voglia dirsi civile ed aperta a TUTTI.
Regole di convivenza che purtroppo è ancora necessario stabilire prima di tutto nel comportamento quotidiano di ognuno di noi.
Mi prendo come esempio insieme a tanti altri con cui ho condiviso delle lotte.
Il mio presupposto di partenza nello scegliere con chi e per cosa lottare risiede in una semplicissima considerazione: c'è chi è oppresso e c'è chi opprime.
A fronte di percorsi ed esperienze mi sono fatto un'idea di chi siano i primi e chi siano i secondi.
E, ad esempio, ho avuto modo di constatare che molto spesso gente che lotta separatamente per diritti apparentemente differenti lo fa contro gli stessi bersagli.
Apparentemente differenti.
Chi lotta per il diritto alla casa, per progetti di edilizia popolare, contro la speculazione ignobile ed infame delle lobby del mattone con la compiacenza e la complicità del potere politico APPARENTEMENTE lotta per motivazioni differenti da chi sostiene il riconoscimento delle coppie di fatto.
Chi lotta contro il precariato, contro lo sfruttamento dei lavoratori in nome del profitto e contro l'impossibilità di costruire basi solide per un futuro  nonostante si lavori 8 ore al giorno APPARENTEMENTE lotta per motivazioni differenti da chi lotta per i diritti dell'infanzia.
E il termine APPARENTEMENTE assume un significato piuttosto tragico perché invece è proprio quello il punto.
E la difficoltà nel portare avanti certe lotte risiede nel fatto che non sappiamo andare oltre i compartimenti stagni entro i quali vengono rinchiuse istanze nobilissime, contestualizzandole e di fatto isolandole.
Quando queste istanze cominciano ad essere considerate in maniera globale succede quello che è successo a Genova, per chi non lo avesse capito.
Perché FANNO PAURA sul serio.

Ora, e questa è la mia opinione, questi compartimenti stagni stanno cominciando a diventare più un danno che una risorsa.
O sono solo io che non vedo più la differenza fra i ragazzi ed i valligiani NO  TAV e chi lotta per far riconoscere il proprio diritto di veder riconosciuta la propria sessualità.
Eppure basta vedere qual'è il nemico che ogni volta ci si pone di fronte.

Chi è che permette di tenere in carcere due ragazze (Nina e Marianna, che per fortuna sono intanto state fatte uscire) con accuse incommentabili mentre dei Ministri della Repubblica che hanno giurato sulla Costituzione si possono permettere di fomentare la secessione senza che nessuno degli stipendiati in Parlamento abbia l'uzzolo di avviare una mozione di sfiducia per i due scimpanzè in camicia verde?


E non sono per caso le stesse persone che gnaulano quando c'è un'aggressione omofoba e poi quando c'è da votare in Parlamento una legge che dia un segnale  soprattutto a quelle persone che "si sentono disturbate" da certe manifestazioni d'affetto danno in escandescenze solo verbali quando va bene, evaporano misticamente?

Non sono le stesse persone che approvano e promuovono speculazioni e prevaricazioni delle lobby del mattone che stanno trasformando le nostre città ed il nostro modo di aggregarci e socializzare in un Far West teso a rinchiudere nel proprio gretto e volgare metro quadrato di egoismo le nostre vite, circondati, anzi direi assediati, da gas di scarico, inceneritori, siti inquinanti, discariche e quanto altro possa renderci brutti, grigi e malati?

Non sono le stesse persone che hanno scientificamente programmato il ridurre in miseria una fetta non sottovalutabile di popolazione precarizzando il precarizzabile, togliendo ogni possibilità di futuro alle ultime generazioni e segando alla radice quello di chi s'è sbattuto una vita per farsene uno?

Non sono le stesse persone che mettono in condizione degli psicotici in divisa di potersi permettere il cazzo che gli pare di fronte a cittadini inermi che in alcuni casi escono da caserme e prigioni a gambe in avanti, quando non viene permesso loro di sospendere ogni regola democratica al solo fine repressivo e possono permettersi addirittura a fronte di sentenze terrificanti di premiare e promuoverne i responsabili?

Bene, c'è chi per lottare contro queste persone sta prendendo manganellate, lacrimogeni in faccia, gas proibiti, ma soprattutto c'è chi pensa che tutto ciò non lo riguardi perché APPARENTEMENTE non sta lottando per il diritto che sente per sè prioritario.

A me il sapere se Calderoli sia gay o no mi fa come il cazzo alle vecchie, signori di Equality Italia.
Mi interessa invece che quando c'è da dare una spallata di un qualche spessore a questa marmaglia ci siamo tutti. Perché i diritti che chiediamo, nel caso la cosa vi fosse sfuggita, riguardano tutti.
Perché quello che vorremmo - tutti - cambiare è un sistema perfettamente correlato, perché sono anni, decenni, che lottando a compartimenti stagni l'unico risultato che si è visto sono le sonore sculacciate che i movimenti prendono dai media e dai politici e che se vogliamo veramente far PAURA a questa gente non si può prescindere dal costituire un fronte compatto ed indivisibile, anche quando avremmo centinaia di distinguo da fare.
Quelli si risolvono strada facendo ma meglio ancora quando il peso politico non è quello di 400 movimenti divisi fra loro.
E quello GLBTQ è uno di questi.
E lo sono anche i vari popoli viola, grillini, grilletti, antagonisti, disobbedienti, indignati e scazzati.
Nessuno che prenda in considerazione l'eventualità di mettere per un pò da parte la propria bandierina o la propria spilletta.
Quelli come me ci sono a prescindere, quando come tanti, tantissimi come me, non sono impegnato a sopravvivere lavorando. Ci sono alle manifestazioni, alle occupazioni, ai presidi, a sputare addosso agli scrittori revisionisti, a chiedere il diritto alla casa, ad urlare contro rigassificatori, inceneritori e discariche, e non ho difficoltà a partecipare ad iniziative a tutela dei diritti di persone che lottano per veder riconosciuta la propria sessualità, senza bandierine e solo col biglietto di presentazione della propria ghigna a tagliola.
E ce ne sono tanti così, più dei militanti a senso unico. Sono semplicemente uno del popolo, della "gente", che lavora, paga le tasse e col giramento di coglioni che ha potrebbe arrivare in Capraia senza usare le braccia se fa tanto di tuffarsi dagli scogli di Calafuria,  non mi interessa avere un connotato identitario.
Quindi è mia opinione che sia necessaria una full immersion nell'arcipelago di chi sotto la voce "diritti" include tutte le conditio sine qua non per cui ogni individuo possa trasformare questa situazione di cui tutti stiamo pesantemente pagando le conseguenze e che ha un suo fil rouge invisibile solo a chi ne fa una questione personale (e perdente in partenza), operando un cambiamento sociale che possa finalmente costruire una società basata sul rispetto dell'individuo e sul diritto a vivere liberamente la propria umanità.

Pensateci su. L'arciere zen non scocca la freccia se non è sicuro di fare centro.
E, naturalmente questa resta una mia personalissima opinione, fino a quel momento buone testate nel muro.
Qualcuno mi convinca che l'ho buttata di fuori e domani pubblicherò i primi dieci nomi di Ultras del Livorno che sono nati a Pisa.

LARRY KING E AHMEDINAJAD (E LAURA PANERAI)

Chi ha letto più di un paio di post su questo blog dovrebbe aver capito cosa ne penso degli stati teocratici.
E l'Iran con tutta probabilità lo è.
Quindi può immaginare che lo skill in simpatia che incontra presso il sottoscritto quel tipo di regime sia piuttosto basso.

Tuttavia non sono mai stato in Iran. E dell'informazione occidentale mi fido più o meno quanto mi fiderei di Laura Panerai se mi venisse a dire di essere vergine.
(Prego dare un'occhiata alla signorina a cui voglio benissimo, altro che a quella scarpa di cavallo di Terry De Nicolò)




Ecco, esauriti i due minuti di cazzeggio politicamente corretto anzi correttissimo vorrei invece presentarvi l'intervista che il giornalista Larry King ha avuto occasione di fare al controverso Presidente dell'Iran Mahmoud Ahmedinajad.

La prima considerazione che ho fatto dopo averla vista è stata che a quanto pare non siamo solo noi occidentali a saper palleggiare i media con la disinvoltura di Maradona.
La seconda è che se il MIO presidente avesse le palle per tenere un confronto del genere su una TV americana in quel modo avrei degli orgasmi multipli e reitarati.
La terza è che nè il mio Presidente nè alcuno dei politici che dicono di rappresentarmi, nessuno escluso, mi farà avere degli orgasmi multipli e reiterati in un confronto non dico con Larry King ma nemmeno con Sarah Palin.
La quarta è che Ahmadinejad è indubbiamente un furbacchione ma se le istanze di un Larry King sui diritti umani in Iran vengono liquidate in quel modo qualcuno ce la sta raccontando male.
La quinta è che NOI come siamo messi lo vediamo benissimo ogni giorno e mi piacerebbe tanto farmi un giretto in Iran - anche accompagnato dalle milizie islamiche, non me ne frega un cazzo, ho due occhi che con l'ausilio di due potenti lenti a contatto ci vedono quasi bene - e fare un confronto sereno ed imparziale.
Posta la probabilità che se fossi veramente accompagnato dalle milizie islamiche verrei sbattuto fuori a nocchini dopo due ore, tempo oltre il quale ho l'assoluto bisogno di schiaffarmi nelle cuffie qualcosa di molto rumoroso e blasfemo.
L'ultima considerazione è che probabilmente stiamo dando ancora troppe cose per scontate.
Magari anche dopo aver visto questa intervista.
No, ne ho un'altra.
La signorina Laura Panerai probabilmente in Iran non sarebbe ben accetta, e questo non è bello.
A parte il tono volutamente semiserio ammetto di esser rimasto con un bel vagone di domande da sbozzolarmi.

Vi invito comunque vivamente a guardare questa intervista. Ma vivamente davvero.





aggiornamento: intanto mi è parso interessante questo post della Barbara Coloroalclero, perché nella vita "è importante fare paragoni" (e se qualcuno ha visto il film "La mia vita a quattro zampe" comprenderà)

giovedì 22 settembre 2011

TERRODEPRESSI

Uno sembra voglia scherzare o fare iperboli tanto per fare il ganzo.
No, io non avevo nessuna intenzione di scherzarci troppo sul fatto che prima o poi le categorie a rischio ditone puntato andranno allargandosi a dismisura.
Quando parlavo dei "drogati" qualche tempo fa in occasione della morte di Amy Winehouse avevo ipotizzato la possibilità che intere categorie finissero per l'essere additate da parte del solito "buon senso comune" all'attenzione di tutte le possibili gogne, ben imboccate da media, governi, opinionisti di regime all'indirizzo del borghese "legge & ordine", quella fetta di pubblica opinione decisiva per la riuscita o meno di tutte quelle leggi, leggine e cavilli e cavillozzi i quali in men che non si dica possono rovinare la vita ad una persona trascinandola nel gorgo del REATO con conseguenti rischi di avvocati, processi, carcere, randellate e quant'altro.

Se non è una novità che hanno già iniziato a forgiare le prossime generazioni agendo sui bambini più vivaci o mentalmente più versatili promuovendo quella schifezza del Ritalin perfino con brochure pubblicitarie narranti allegre favolette, ora si fa un bel salto di qualità ed a farlo ci pensa uno degli Stati che quando decide di mettere sul tavolo le prove che la stupidità può effettivamente essere più vasta dell'Universo teme pochi confronti (tra cui quello con l'Italia) e cioè la Gran Bretagna.

Il Ministero degli Interni inglese ha difatti fatto richiesta agli uffici degli atenei ed ai docenti di segnalare alla Polizia inglese gli studenti depressi in quanto potenziali terroristi.

In base a questo ragionamento la Gran Bretagna disporre di un esercito di casalinghe-killer (o meglio, martiri) che pianificano di farsi esplodere nei supermercati. Ed anche noi non saremmo messi male, fra casalinghe, impiegati, sbombolati dalle pasticche, depressi naturali, psicotici e schizofrenici.
Per dire, che il Buffo Omino di Arcore non sia un maniaco - depressivo con seri problemi alla psiche anche per quanto riguarda il sesso e la sessualità me lo dovrebbero dimostrare con tanto di timbro in ceralacca di qualche istituto di ricerca a Silicon Valley.

Trovo la cosa estremamente buffa. Ed allo stesso tempo trovo che il sistema che sta regolando la vita ed i rapporti su questo pianeta si sta avviando al collasso cercando di fare più danni possibili.

Urge accelerarne la fine con zelo e con indomito impegno.
Ognuno come può e come sa.


"Io vengo come il Dioniso vittorioso che trasformerà il mondo in una vacanza....non che abbia molto tempo"
(un Fredrich Nietzsche già dorato e fritto nell'ultima lettera a Cosima Wagner)


Preferisco impazzire del tutto prima di mettere la mia vita in mano a questa gente.

mercoledì 21 settembre 2011

CHE COSS'E' L'AMOR

Ci sono fatti che da soli valgono più di milioni di discorsi.
Ad esempio, prendiamo il riconoscimento legislativo delle coppie di fatto.
Chi è a favore teorizza che il legame che unisce due persone non deve necessariamente essere subordinato ad un contratto, che specialmente in un contesto sociale come quello attuale è assolutamente necessario stabilire la priorità del legame rispetto alla mera firma su un registro comunale o quello di una parrocchia.
I motivi sono tanti, molteplici ma principalmente raccolti nel principio di libera scelta della coppia, cioè i principali e, fino a prova contraria, unici interessati.
Chi invece contrasta questa visione lo fa adducendo cavilli legislativi quanto la necessità di un ordinamento giuridico che regoli i rapporti fra le coppie e che privilegi chi decide di mettere nero su bianco coloro che decidono di vivere insieme in modo da regolare l'assetto sociale nel modo che qui in Italia conosciamo benissimo.
E cioè nessun diritto per il compagno/a riguardo l'altro.
Come se negli ultimi 50 anni l'assetto sociale sia rimasto lo stesso, aggiungo io.
Ma la situazione, purtroppo per i difensori del matrimonio civile o religioso che sia, è cambiata e di parecchio rispetto (ad esempio) di quando in Italia non c'era una legge che stabilisse la possibilità di divorziare.
Tanto per dire la più eclatante.
Solo che le leggi che regolano le questioni fra le coppie sono rimaste pari pari quelle che esistevano quando la famiglia era rigidamente strutturata con "maschio a lavorare e femmina a casa a badare alla casa ed ai figli", uniti ed indivisibili.
Con una qualche fatica - chi c'era a quei tempi lo sa - siamo riusciti ad avere almeno il divorzio.
Cosa che ha permesso a parecchie persone di poter riprendere in qualche modo in mano la propria vita e, in certi casi, uscire da un vero e proprio inferno.
Ora succede che c'è una battaglia in corso per il riconoscimento delle coppie di fatto.
Qui nella succursale del Vaticano che ci ostiniamo a chiamare Italia.
E nel frattempo succedono delle cose.
Ad esempio, e non è la prima volta, succede che una donna che per 30 anni ha condiviso amore, passione e complicità col suo uomo e che ne ha accompagnato amorevolmente gli ultimi passi su questo mondo terreno venga allontanata dal letto di morte del suo compagno adducendo la scusa che "non è la moglie".
La donna in questione è l'ex attrice Rossana Podestà, compagna da 30 anni dell'alpinista/esploratore Walter Bonatti.
Prego leggere il link, perché detta così oggi, A.D. 2011, sembra che io voglia prendere per il culo qualcuno.
E, se qualcuno vuole posti pure un commento.
Io francamente non ci riesco.

GLI OTTANTA NERI 7


Giuro ad un certo punto m'aspettavo uscisse nei negozi il peluche di Robert Smith.
Cicciopuffoloso e adattissimo alle teenagers pre-emo.
C'e stata sicuramente una deriva, o almeno qualcosa che ha portato la band a ridursi da perfetta interprete delle pulsioni oscure e depresse, senza orizzonte nè speranza ad una macchietta ben congegnata ad uso di un pubblico indiscutibilmente meno maturo ma più remunerativo.
Operazione condotta con un certo grado di furbizia, anche perchè il signor Smith avrà tanti difetti ma non manca certo di talento.
Certo è che una volta raggiunto l'apice il percorso dei Cure ha preso un andazzo piuttosto preoccupante.
I primi sintomi? "The lovecats" e volendo essere capziosi "The walk", due singoli che sicuramente hanno messo nelle tasche di Robertino parecchi più pound di quanti ne abbia portati quel bellissimo lavoro che porta il nome di "Pornography", il loro apice perlappunto.
E pensare che l'inizio sembrava promettere tutto all'infuori di un viaggio nei meandri oscuri del dolore post-adolescenziale rappresentato ed eseguito con una incredibile capacità di scandagliarne ogni sfumatura, ogni sfumatura del nero intendo.
Perché "Three imaginary boys" era un disco scarno, veloce, in linea con quanto l'Inghilterra stava proponendo appena subito dopo il ciclone punk.
A dire la verità io avevo acquistato "Boys don't cry", che sembrava più una raccolta allargata e comprendente alcuni dei migliori singoli del primo periodo del gruppo, cioè la title-track, "Jumping someone else's train" e la splendida "Killing an arab" che non era un possibile inno degli ultrà occidentalisti pre-11 settembre (che era lontanuccio anzichenò dato che il pezzo è del '79) bensì una libera trasposizione dell'inizio de "Lo straniero" di Albert Camus.


Anche se in assoluto il brano che più mi colpì era - come lo chiamavamo - "triptriptriptrip" (che in realtà nel testo dice "dripdripdripdrip"


Sta di fatto che si possegga "Three imaginary boys" o "Boys don't cry" si può star sicuri di avere in casa un gran bel disco.
Più tardi scoprii che in "Three imaginary boys" c'erano tracce che meritavano di per sè l'acquisto: la psicotica versione di "Foxy lady" e la sgangherata "Meat Hook", ad esempio, e quindi mi trovai costretto ad acquistare anche quello. Poco male.

Non so cosa si aspettassero i fans dei Cure alla seconda prova, ma sicuramente "Seventeen seconds" è tutta un'altra cosa. Altrettanto bella, ben scritta, ben suonata e ben prodotta ma tutta un'altra cosa.
A partire da "Play for today", introdotta da un breve e cupo intro di piano; un  brano che sarà, assieme a "A forest" il più apprezzato ed amato dai fans.
Adolescenti e post-adolescenti che inglobano lo smarrimento e la caduta libera dei sogni e delle idee che caratterizza l'inizio degli anni '80.
"No future" preconizzavano i Sex Pistols, ed era tutto vero. Tutto maledettamente vero.
E non tutti erano in grado di reggere il colpo.



L'album non è così cupo ed opprimente, è solo un segnale di quello che verrà.
Si ascolta nella sua apparente indolenza quasi con un filo di piacere, ma ha un fondo di malinconia implosiva che per il futuro non fa presagire nulla di buono, almeno per quanto riguarda la psiche del leader, la cui voce quasi adolescente e spezzata conquista un discreto numero di fans.

E poi è la volta di "Faith".
E si comincia a scorgere l'abisso.
"Faith" è un disco difficile, forse il più difficile dei Cure. Il fondo malinconico di "Seventeen seconds" comincia ad acquistare i crismi della disperazione, come se Robert Smith cerchi una via d'uscita senza avere idea da quale parte dirigersi. I testi si fanno sempre più nichilistici, straniati, lontani e senza speranza.
"Primary" è forse il brano più luminoso del disco ed è scelto come singolo trainante.
Va da sè che non fu il loro maggior successo, ma "Faith" accresce la popolarità del gruppo grazie alla capacità della scrittura di Smith di catturare gli stati d'animo di certo pubblico proveniente dalla sbornia punk e che aveva già metabolizzato la disillusione creata dall'impossibilità di rovesciare quei meccanismi già abbondantemente in moto del vuoto pneumatico che gli anni '80 stavano per instillare su una larghissima parte di giovani.


Ma i picchi del disco, a mio parere sono altri, a partire da "Doubt", forse il brano più rappresentativo del disco e del periodo. Incalzante, evocativo e - semplicemente - bellissimo.
E poi "The drowning man", la separazione narrata, sembra, da un qualsiasi aldilà; e "All the cats are grey"
e "The holy hour" ma rischio di sminuire gli altri pezzi del disco. Una produzione minimale ed efficace, pefettamente in linea col clima del tempo, in cui il dark/gothic o chiamatelo come volete iniziava ad affermarsi su ampia scala grazie anche al clima di cupo sopore che la fine degli anni '70 avevano lasciato.
Ci penseranno Reagan e la Thatcher a ridare la sveglia, ma non è ancora il momento.
In "Faith" i Cure sembrano aver dato il meglio. Non è così.
C'è intanto una traccia che rimane fuori dall'album, è forse il brano più bello ma effettivamente ha poco a che fare con l'atmosfera di "Faith" e quindi viene pubblicato su singolo.
Si chiama "Charlotte sometimes" e merita l'inclusione in questa carrellata: personalmente resta il mio brano preferito dei Cure




Insomma, sembra che i Cure abbiano dato il meglio. E non è così.
Cioè, dirlo ora sembra scontato; ma quando "Pornography" uscì non ricevette di certo una buona accoglienza.
E' destino di molti capolavori quello di esser stati sculacciati dalla critica alla loro uscita per esser poi rivalutati e quindi assurti al rango di capolavori anni dopo.
Tanto per rimarcare la funzione falsamente centralista della critica musicale la quale, a mio modestissimo parere, ha ricevuto un colpo quasi mortale dall'avvento della Rete perché è stato allora che sono usciti allo scoperto dei veri intenditori e degli ottimi critici musicali, sicuramente al di sopra di ogni condizionamento (già). Non mi ritengo fra questi, naturalmente essendo semplicemente un appassionato che preferisce seguire altri appassionati (i vari Brazzz, Allelimo & c., Harmonica, Lucien e via dicendo che se non altro garantiscono un'ottica sincera e disinteressata, a volte senza neanche spendere una parola in più del necessario); ma non divaghiamo.

"Pornography" esce in un periodo pessimo per la band.
Alcool e droghe in eccesso, Robert Smith in piena crisi esistenziale che trascina tutto il resto della band in un'atmosfera cupa e nichilista, la stessa band che si regge su equilibri assai precari.
L'album si apre con la strofa "It doesn't matter if we all die" ("Non importa se moriamo tutti"), come dire, se il buongiorno si vede dal mattino. E in effetti "Pornography" è un disco che non ha mattino. E' una lunga, interminabile opprimente buia nottata senza luna.




L'atmosfera del disco è omogenea ed uniforme, come i precedenti e difficilmente si può trovare un disco più rappresentativo nel panorama gothic/dark, molto più delle eccessive pulsioni suicide dei Christian Death, molto più dei ricami elettrodanzerecci dei Sisters of mercy o dei tribalismi ancora intrisi di punk di Siouxsie & the banshees (che comunque restano anch'essi un grandissimo gruppo).
"Pornography" è l'icona incontrastata di quel genere.
Anche qui inutile citare un brano piuttosto che un altro quindi ne ho scelti due dettati esclusivamente dalle reminescenze personali:




Beh, la title-track fa rabbrividire. O almeno, non è il genere di brano che si ascolta a Formentera sdraiati su una chassis longue (cislonga qui da noi, sdraia nel resto d'Italia) con un White russian in mano.
Ecco, per quanto mi riguarda i Cure non finiscono qui ma poco ci manca.
Non che non abbiano fatto altre cose di valore, ma a livello di albums non solo non hanno più superato il picco di "Pornography" ma hanno virato verso un approccio più manieristico se non decisamente commerciale.
Esemplificativi in questo senso la sfilza di singoli usciti dopo "Pornography" con tanto di cambio di formazione e strizzate d'occhio a ritmi più adatti ai dancefloor che alle anguste e buie camere da letto.
"Lovecats", "Let's go to bed", "The walk", possono avere come giustificazione quella di aver salvato Robert Smith dal suicidio. Mettiamola così.
"The top" non è un brutto disco, anzi.
L'atmosfera è più rilassata anche se il brano che apre il disco ("Shake dog shake") lascerebbe presagire una continuità non dico col disco precedente ma almeno con la ormai conosciutissima anima nera del gruppo.
E invece a parte la furibonda "Give me it" e la straniata e catartica title track il disco scorre senza particolari sussulti e con un singolo ("The caterpillar") da far sentire tranquillamente in una classe d'asilo. Non scherzo.
Meglio allora "The head on the door" nonostante i perniciosissimi singoli ("In between days" e "Close to me") che chiaramente riempiranno le tasche della band per molti anni a venire ma sono ben lungi dall'essere le loro migliori cose. I due pezzi conclusivi, la scarna "Screw" e la evocativa "Sinking" sono ancora degne dei vecchi Cure, inoltre azzeccano una bellissima canzone senza provocare rigurgiti anoressici nell'ascoltatore e questo per i Cure è un pò una novità - eddai, un pò d'ironia.





Siamo agli ultimi due lavori degli anni '80.
"Kiss me, kiss me, kiss me" è un doppio abbastanza controverso.
A me non piacque molto, anche se contiene quel gioiello che è "Just like heaven" della quale però preferisco la versione dei Dinosaur Jr. con la voce di J Mascis che sembra, come del resto in tutti i pezzi nei quali canta, sia stato scaraventato giù dal letto in piena fase REM e piazzato davanti al microfono senza neanche aver avuto il tempo di prendere il caffè.



Concluderei gli anni '80 dei Cure con quello che fortunatamente per loro è stato l'album che ha ridato al gruppo ottime vendite e una più che discreta qualità.
"Disintegration" è sicuramente al di sopra dei lavori post-"Pornography" ma a mio avviso è rimasto l'ultimo loro disco interamente degno dei Cure che tutta una generazione se non proprio ama perlomeno rispetta.
Chiaramente gli abissi di "Faith" e "Pornography" sono lontani. I Cure ora sono altro. Un gruppo di successo la cui casa discografica ha paura addirittura di pubblicare il disco.
Sarà sculacciata dalle charts che decreterà per "Disintegration" la più alta manifestazione di consenso per il gruppo di Robert Smith.
Del quale fortunatamente non hanno messo in commercio il peluche.
Anche se secondo me un pensierino ce l'hanno fatto.


martedì 20 settembre 2011

FUGA DAL MONOSCOPIO

Quando frequentavo l'istituto tecnico avevo come professore di italiano un insegnante formidabile, che proprio in un periodo in cui stavo scoprendo Kerouac, Hesse, Steinbeck e Rimbaud come i miei coetanei quattordicenni riuscì a farmi appassionare ai "Promessi sposi" del Manzoni.
L'insegnante si chiamava Antonio Tancredi ed era un maturo e pacato signore con accento meridionale che aveva la capacità di spiegare in maniera semplice ed efficace tutte le figure retoriche proposte dal Manzoni.
La sua spiegazione della figura di Don Abbondio, ad esempio, la ricordo ora, a distanza di 35 anni quasi come fosse ora e, manco a dirlo, aveva come tema centrale il coraggio, e si sviluppò nell'arco di più lezioni.
Il coraggio è una cosa che chi non ce l'ha non se lo può dare, ed è una condizione che nel futuro avrei avuto modo di constatare innumerevoli volte e soprattutto di verificarne gli effetti quando si tratta di fare scelte anche difficili. Forse proprio la codardia di Don Abbondio mi ha talmente colpito da ragazzo tanto da indurmi spesso a comportamenti opposti, al limite dell'incoscienza ed oltre, pagati con gli interessi e senza rimpianto.
Ora che lavoro nel settore spettacoli ed intrattenimento continuo a verificare che la figura di Don Abbondio continua ad essere drammaticamente attuale, anzi direi che continua ad essere un'icona insostituibile.
Il coraggio é prendersi la responsabilità di mettere in pratica ciò che si pensa sia giusto, perfino quando le condizioni rendono la cosa molto, molto difficile perché altri Don Abbondio attorno a te sicuramente si eclisseranno, perché ci sono dei Don Rodrigo che cercheranno di fartela pagare, perché torme di "bravi" verranno a chiedertene conto in maniera affatto aulica, perché altrimenti il termine "coraggio" non avrebbe ragione di esistere.
E allora mi fa molto riflettere quanto succede - non da oggi ma oggi più che mai - in quel carrozzone chiamato RAI.
Sono cresciuto con un TV che non aveva telecomando ma due tasti sul televisiore - VHF e UHF - che corrispondevano a primo e secondo canale. Col varietà, Canzonissima, Carosello e tutte 'ste cose qua.
C'erano sì i politici che avevano già le mani dappertutto, ma la loro influenza era meno invasiva, i dibattiti politici non erano popolati da cafoni ululanti ed i telegiornali erano condotti da un sobrio signore di cui non ricordo neanche il nome.
Certo che ne sono cambiate di cose.
Ai tempi fece scalpore, ad esempio, il licenziamento o meglio l'epurazione vera e propria di Dario Fo dalla conduzione di Canzonissima per via di una battuta sugli imprenditori edili, ma basta leggersi l'articolo del grande Achille Campanile pubblicato su "L'Europeo" (e non su "L'Unità") e che si può ancora leggere sulla raccolta dei suoi articoli pubblicati nel libro "La televisione spiegata al popolo", un libro che meglio di qualunque altro spiega la genesi e l'irresistibile ascesa di questo mezzo di comunicazione e di quanto lo scrittore ne avesse già captato le degenerazioni.
Il punto è il non solo triste ma tristo balletto che ad ogni nuova stagione televisiva i vertici RAI propongono nei confronti di programmi dall'alto indice di ascolto e dal bassissimo gradimento presso la classe politica.
Classe politica che in quanto ad indice di gradimento é attualmente situata fra l'otite cronica e la colonscopia.

Quindi comprendo che i vari Santoro, Dandini, Fazio e Gabanelli si sentano più o meno nella stessa condizione di un foruncolo sul culo dei dirigenti e che nonostante le pur laute prebende lavorano costantemente con una spada di Damocle che pende sul loro lavoro e su quello delle redazioni.

Ma mi chiedo se non sia l'ora di prendere il coraggio a quattro mani e compattare i lavoratori dello spettacolo, e parlo di giornalisti come di attori, registi, autori ed artisti vari, ed iniziare non ad aspettare che le signorine Lei di turno finiscano la loro pulizia etnica, ma mettano in pratica una fuga di massa dal sedicente servizio pubblico giocando d'anticipo.
E lasciando SOLI, desolatamente soli, i servi, i nani, le ballerine e tutto il carrozzone tanto caro ai nostri politici. Lasciarli soli saturando l'etere con la loro spazzatura umana e con loro tutta quell'utenza che di questa spazzatura si ciba.
Ormai le parti attive della cittadinanza non ha più come punto di riferimento la TV, ma la Rete.
Ci sono le piazze. Ci sono i teatri. Ci sono centinaia di ex-cinema chiusi che stanno andando in malora. Ci sono le web-TV. Ci sono tante possibilità che i protagonisti del mondo dello spettacolo possono usare per veicolare il proprio messaggio.
Certo che gli stipendi non saranno più gli stessi, ma non credo che faranno mancare due piatti di pasta al giorno ed anche qualcosina in più ai nostri.
Neanche penso che un gesto del genere sia così semplice e che probabilmente necessita di una pianificazione graduale e ponderata.
Penso semplicemente sia NECESSARIO.
Perché il fine sarebbe ribaltare i rapporti di forza. E cioè far sentire LORO accerchiati. Riportando la gente nelle piazze, nei teatri ed in tutte quelle strutture in via di dismissione e che si potrebbero riciclare permettendo al pubblico non semplicemente di manifestare ed agitare cartelli ma a partecipare e, semmai, contribuire e comunque stanandosi dalle case e dai volgari monoscopi sui quali si paga una tassa senza nessuna ragion d'essere.
Santoro sta tentando qualcosa del genere e per capirlo s'è dovuto far spezzare le corna dopo anni ed anni di diktat, veti, denunce e richiami (e telefonate - haha - il mitico "si contenga!" rimarrà nella storia della TV, così come la figura di merda di Masi).
Grillo è stato epurato e guardate che ha combinato (per inciso, non era meglio farlo rimanere in TV, signori censori?).
Eppure sembra che la TV sia ancora un mezzo imprescindibile, non per noi ma per quella categoria di lavoratori che ne legittima ancora l'esistenza in questa forma.
Eppure chissà che succederebbe se facessimo saturare i canali dai Vespa, dai Minchiolini, dai Grandi Fratelli, dalle Isole dei famosi, dalle Vite in Diretta (l'Abominio Assoluto a mio parere) e da tutta quella spazzatura che ci propinano quotidianamente ma stavolta senza alcun tipo di contrappeso, lasciando che la merda saturi il cervello dei fans fino a non poterne più, perché il distacco dalla vita reale e soprattutto dallo spettacolo alternativo diventi così siderale da far iniziare a porre delle domande perfino ai lobotomizzati con il tasto perennemente pigiato su Rete 4.

Mi rendo conto che sto chiedendo coraggio a gente con conti in banca a 7/8 zeri.
Ma se ne abbiamo avuto noi che il conto in banca manco ce l'abbiamo o se l'abbiamo di zeri ne ha al massimo tre e ci andiamo a prendere pure le manganellate quando li prendiamo di petto credo di non esagerare chiedendo magari a questa categoria almeno di verificare fino in fondo la fattibilità della cosa.
E da lì vedere se veramente il loro coraggio è un qualcosa di concreto o se ci troviamo, per l'ennesima volta, davanti a dei Don Abbondio che, per loro sfortuna non possono darsi quello che in realtà non hanno.

lunedì 19 settembre 2011

LA SOLUZIONE

Non ci sono riusciti scandali, manifestazioni, processi, crisi economica, intercettazioni a levarci dalle palle il Buffo Omino di Arcore.
Il problema è la nostra scarsa lungimiranza, la nostra incapacità tipica dei sinistrorsi di non riuscire a vedere la foresta per colpa degli alberi, la nostra predisposizione maniacale all'analisi piuttosto che all'azione, la nostra incapacità di cristallizzare in un unica soluzione la radice dei problemi ed estirparla.
Ma basta uscire un attimo dagli schemi mentali del conformismo sinistroide e la soluzione appare magicamente, come Rivelata divinamente, come se all'improvviso una volta abbandonata la visuale conforme fossimo in grado di vedere ciò che prima era invisibile.
La soluzione era già lì, a portata di mano.
Anzi, scemi noi a non averci pensato prima.
Chi può arrivare a realizzare ciò che a nessuno è riuscito?


Chi se non Chuck Norris?
Oh, non mi ringraziate. Dovere.


"I rubinetti di Chuck Norris non perdono. Vincono."
(Roundhouse kicks)

P.S. Sì, siamo messi male a questa maniera.

domenica 18 settembre 2011

GLI ESCORTICATI

Puntualizzazione necessaria:
questa è una Escort:


Queste sono due troie:


Delle due quella pelata che commenta dopo la prima è addetta alle pubbliche relazioni con le "pecore" da 2000 euro al mese (quindi anche in quel caso sono fuori) mentre la prima....eh no, guardate il video sennò
non si capisce l'entità dell problematica contestualizzata nella misura in cui.

Ora voi penserete che il sottoscritto, precario che 2000 euro al mese le vede solo se entra in banca e chiede di vederle tutte insieme, si esibirà in un pippone inverecondo contro tutto questo circo.
Nah.
Qui siamo allo stadio ultimo.
Qui non c'è più niente di cui discutere.
Qui le parole, i concetti, le elucubrazioni, i distinguo non servono più a niente.
E quindi di questa gente non ne voglio parlare perché non vedo cosa ci sia da dire.

Mi verrebbe invece da chiedere se ancora ha un senso parlare ancora di rivendicazioni delle donne rispetto alla condizione in cui l'altra metà del cielo vive in Italia (teniamoci sullo stretto che è già abbastanza) oppure se non sia l'ora di iniziare a portare avanti altri tipi di rivendicazioni che non riguardino solo le donne, ma che nelle quali siano comprese tutte le problematiche che riguardano anche le donne.
Perché, insomma, se il sospetto che la situazione non sia quella di una deriva del sistema intero non vi sfiora neanche allora sì che la cosa si fa veramente preoccupante.

Per quanto mi riguarda la questione femminile nella sua specificità è un aspetto talmente marginale del problema che mi fa seriamente preoccupare nei confronti di chi la vede come una questione centrale.
Perché se in casa ti è entrato il Signor Uragano Katrina in persona non vedo quale utilità possa avere il preoccuparsi di rimettere a posto il tubetto del dentifricio.

(stop: piccola digressione: vorrei rivolgermi alla sig.na Scarpa-di-cavallo intervistata qui sopra: dico, "quelli di sinistra sono loffi e non pagano?" non cerchi di rivalutarmeli con questi mezzucci. E secondo la sua filosofia mi spieghi se è più furbo uno che vi usa e si fa svuotare il portafoglio o uno che vi usa e poi vi rimanda a casa a calci nelle mucose e oltretutto vi piglia pure per il culo facendo il moralista. Fine della digressione)

Quindi, facciamo un attimo il punto.
Quando il Buffo Omino di Arcore ha aperto le sue televisioni, quando le prime intercettazioni rivelavano che "se non c'è figa Craxi è furibondo", quando il circo è partito in quarta davanti agli occhi estasiati della nazione tutta, quando addirittura il Buffo Omino è sceso in politica ed una percentuale impensabile di italiani l'ha mandato a GOVERNARE L'ITALIA, non a fare l'amministratore del condomino "Villa Arzilla", quando non contenti ce l'hanno rimandato e poi rimandato un'altra volta, in quanti eravamo a sognare di sentire l'odore di napalm al mattino, quello che "sa di vittoria" e di trovare questo circo spianato e senza forme di vita intatte?

Pochi facinorosi, ve lo dico io.

Pochi facinorosi sbattuti fuori dall'arco costituzionale, rimasti senza rappresentatività e senza rappresentanza, che dovevano anche sorbirsi i rimbrotti di coloro che "se non voti non hai diritto di lamentarti", che "a criticare Berlusconi si fa il suo gioco", e quindi via alle Bicamerali, via alle "televisioni che non sarebbero state toccate", via alle rincorse all'elettorato cattolico mentre la Santa Romana Chiesa Apostolica si coccolava il suo Buffo Omino neanche troppo di nascosto e soprattutto mentre anche gli "illuminati" e fini strateghi della sedicente opposizione trattavano il Buffo Omino e la sua corte come normali interlocutori politici.

E ora dovrei prendere sul serio quelli che si svegliano ora, prendono cappuccino e pezzo, guardano questo video e si scandalizzano.
Diocane, io comincerei a ripassare al napalm questi qua.

Mi viene in mente questo, invece.
Sono cresciuto con una generazione che sapeva sognare e che oltre a sognare si muoveva.
Sognava un mondo diverso, con ancora le parole e le spinte delle stagioni in cui i cambiamenti avevano iniziato ad intaccare il sistema negli anni '60 - limitare il tutto al '68 mi sembra perlomeno riduttivo, e che ancora continuava a sognare nonostante ci fosse chi aveva preso le armi in mano, nonostante i tentativi di golpe, bombe nelle banche e nelle piazze e sui treni e nelle stazioni.

Mi ritrovo in un momento storico in cui sognare ancora è un privilegio.
E muoversi un pericolo.
Perché, a modo loro, in troppi si sono venduti il culo & annessi come la scarpa di cavallo dell'intervista pensando di essere una soluzione; ma mentivano a se stessi per primi.
Perché nella realtà é alla stessa condizione che volevano - vogliono arrivare, con la differenza di non voler far parte del circo arcoriano, che lì sono troppo politicamente scorretti mentre insomma, un pò di coscienza almeno di facciata ci vuole.

Questi.
La maggioranza degli italiani.
Perché che il sistema sia questo, approvato dalla maggioranza degli italiani e vidimato ogni volta sulla scheda elettorale, lo hanno sempre saputo anche i sassi.
E l'italiano medio ha sempre guardato a questo sistema sperando che in un modo o nell'altro due briciole cadute dal tavolo sarebbero toccate anche a lui permettendogli di risolvere il suo piccolo, patetico metro quadrato.
Così abbiamo assistito alla evoluzione della consapevolezza della classe operaia andata in massa a votare il Buffo Omino ed il suo circolo, salvo ritrovarsi poi con un obelisco nel culo, i Bonanni e le Camusso che firmano cose che trent'anni fa gli avrebbero procurato una bella riserva di pallottole in corpo e condizioni di lavoro che procurerebbero orgasmi multipli a qualsiasi kapò nazista.

E qui stiamo ancora a ragionare sulla condizione della donna.
Sul perché fra le mura domestiche si consumano condizioni intollerabili di violenza, sul perché non i rapporti fra uomini e donne, ma fra esseri umani sono diventati uno schifo, sul perché in Italia si consumano tonnellate di psicofarmaci, sul perché NON SIAMO CAPACI DI GESTIRE IL BENESSERE. Sul perché bastano due lire in più per far diventare un mite cittadino una jena rabbiosa.

Non abbiamo alternative, signori.
E' assolutamente necessario ricominciare a sognare. E muoversi.
Qua c'è un sistema che crolla e non basta cercare di scansarsi per evitare che le macerie ci sommergano, qua va data una mano attiva affinché il crollo sia il più possibile rapido e soprattutto definitivo.
Finché ci sbattiamo a cercare una soluzione fra coloro che ci hanno portato fin qui stiamo mettendo le condizioni di perpetrare nell'agonia lo stesso, identico sistema magari con una nuova facciata.

Mentre mai come ora non c'è veramente più niente da dire.
Perché dalla Repubblica delle Escort ci possiamo salvare solo da noi Escorticati.


venerdì 16 settembre 2011

NON ERA L'11 SETTEMBRE MA IL 16, E PER LORO NON C'E' MEMORIA?


DIARIO DI UN MASSACRO, di Valentina Perniciaro
LIBERAZIONE, 16 SETTEMBRE 2008, retrocopertina (rm1609-att01-202)
«Il problema che ci poniamo: come iniziare, stuprando o uccidendo? Se i palestinesi hanno un po’ di buonsenso, devono cercare di lasciare Beirut. Voi non avete idea della carneficina che toccherà ai palestinesi, civili o terroristi, che resteranno in città. Il loro tentativo di confondersi con la popolazione sarà inutile. La spada e il fucile dei combattenti cristiani li seguirà dappertutto e li sterminerà, una volta per tutte». Il settimanale Bamaneh , organo ufficiale dell’esercito israeliano, due settimane prima del massacro di Sabra e Chatila, riporta le parole di un ufficiale delle Falangi cristiano-maronite.
Ma proseguiamo con ordine.
Martedì 14 settembre ’82
Un’esplosione devasta la sede di Kataeb (partito delle Falangi cristiane) durante una riunione di quadri. Tra i 24 corpi anche quello di Bashir Gemayel, presidente della Repubblica libanese da appena tre settimane. E’ un colpo pesante per Israele: muore il nemico numero uno dei palestinesi in Libano, l’uomo che li aveva definiti «il popolo di troppo», ricordato come «il presidente sostenuto dalle baionette israeliane». La sua elezione era la prima grande vittoria di Sharon: le sue milizie erano state aiutate militarmente, addestrate in campi speciali, garantite di servizi di intelligence e organizzazione. Il generale Eytan, capo di stato maggiore israeliano, poco dopo l’attentato dichiarerà: «Era uno dei nostri».
Il giorno prima, il 13 settembre, gli ultimi 850 paracadutisti e fanti della forza di pace internazionale (per lo più francesi, italiani e americani) lasciano il paese. Non sono nemmeno le 18 quando parte l’operazione “Cervello di Ferro”: inizia un fitto ponte aereo israeliano, uomini e carri armati arrivano all’aereoporto internazionale di Beirut e il generale Eytan dichiara: «Stiamo per ripulire Beirut-Ovest, raccogliere tutte le armi, arrestare i terroristi, esattamente come abbiamo fatto a Sidone e a Tiro e dappertutto in Libano. Ritroveremo tutti i terroristi e i loro capi. Ciò che c’è da distruggere lo distruggeremo».
Mercoledì 15 settembre
Prima dell’alba si tiene una riunione decisiva al quartier generale delle milizie unificate della destra cristiana: per Israele sono presenti i generali Eytan e Druri, per le milizie falangiste il comandante in capo Efram e il responsabile dei servizi di informazione Hobeika. Si discute un piano d’entrata delle falangi nei campi profughi palestinesi di Beirut; un capo militare alla fine della riunione dichiarerà: «Da anni aspettiamo questo momento». Durante tutto il giorno le strade che vanno verso i campi vengono riempite con la vernice di enormi frecce che indicano la direttrice di penetrazione, Sabra e Chatila devono essere facilmente raggiungibili da chi non conosce la città. Dalle 5 in poi lo Tsahal (l’esercito israeliano ndr ) avanza su cinque direttrici, circondando completamente Beirut-Ovest: Sharon arriva sul posto a dirigere le operazioni alle 9 del mattino, sul tetto di un enorme edificio, al settimo piano, da dove può osservare benissimo i campi. Il primo ministro Menahim Begin dirà poche ore dopo che il loro «ingresso in città è solamente per mantenere l’ordine ed evitare dei possibili pogrom, dopo la situazione creatasi con l’assassinio di Gemayel».
Dalle 12 i campi di Sabra e Chatila sono circondati dai tank israeliani: la popolazione si chiude in casa. Tutti i combattenti sono partiti pochi giorni prima, nelle viuzze strette sono rimasti solamente bambini, donne e anziani. 
Giovedì 16 settembre 
Bastano 30 ore per completare la missione: è la prima volta che Israele conquista una capitale araba. Per tutta la mattinata è un formicaio di bande armate, munite anche di asce e coltelli, che percorrono le strade a bordo di jeep dello Tsahal; alle 15 il generale Druri chiama Sharon: « I nostri amici avanzano nei campi. Abbiamo coordinato la loro entrata». La risposta è secca: «Felicitazioni».
Il tempo a Sabra e Chatila si fermerà alle 17 per ricominciare a scorrere 40 ore più tardi, alle 10 del sabato successivo. Gli israeliani seguono le operazioni dal tetto del loro quartier generale, forniscono in aiuto razzi illuminanti sparati con una frequenza di due al minuto: non calerà mai la notte sopra i campi. Le falangi cristiano-maronite non si limitano a sterminare la popolazione; il loro accanimento, soprattutto verso i bambini, ha pochi precedenti nella storia, la loro crudeltà supera ogni aspettativa. Sfondano le porte delle case e liquidano intere famiglie ancora nei letti o a tavola, tagliano le membra delle loro vittime prima di ucciderle, stuprano ripetutamente donne e bambine, evirano, assassinano a colpi d’ascia. Solitamente lasciano viva una bimba per famiglia che, dopo ripetuti stupri, ha il solo compito di raccontare e far scappare chi resiste. Una donna al nono mese di gravidanza verrà ritrovata con il ventre aperto, uccisa con il feto messogli tra le braccia. Le teste dei neonati vengono schiacciate sulle pareti. I miliziani saccheggiano tutto: si troveranno molte mani di donne tagliate ai polsi per impadronirsi dei gioielli. 
Venerdì 17 settembre
Il venerdì nero. Il tenente Avi Grabowski dirà davanti alla commissione d’inchiesta «Ho visto falangisti uccidere civili…Uno di loro mi ha detto: dalle donne incinte nasceranno dei terroristi». Ma i soldati israeliani ricevono ancora l’ordine di non intervenire su ciò che sta accadendo, di non entrare nei campi; il loro compito rimane quello di sorvegliare gli accessi per rispedire dentro chi prova a fuggire e illuminare l’area, al calar della notte. Sono le milizie di Haddad quelle che incutono più terrore, quelle che legano i feriti alle jeep e li trascinano fino alla morte, quelle intente a torturare e a non lasciare nessuno in vita; i metodi si fanno più rapidi rispetto all’inizio del massacro, ora si spara a bruciapelo e spesso si incide una croce sul petto dei cadaveri. Più di 1500 persone spariranno salendo sui loro camion: non si è più saputo niente di loro. Entrano anche nell’ospedale di Akka e di Gaza, medici e infermieri palestinesi sono giustiziati, così come i feriti. Al confine del campo gli uomini delle milizie cristiane sono euforiche, non si vergognano di urlare in faccia ai giornalisti che iniziano ad arrivare: «Andiamo ad ammazzarli, ci inculeremo le loro madri e le loro sorelle». Sharon è l’unico invece che continua a dichiarare, mentre sovrasta il massacro, «l’entrata di Tsahal a Beirut porta pace e sicurezza ed impedisce un massacro della popolazioni palestinesi. Stiamo impedendo una catastrofe».
Sabato 18 settembre 
Il massacro continua; la puzza di cadaveri, sotto il caldo sole di Beirut, inizia a superare i confini dei campi palestinesi. E’ il momento dell’ultima trappola: le milizie dalle 6 del mattino girano sulle jeep urlando alla popolazione di arrendersi, di uscire di casa. Più di un migliaio saranno uccisi sulla strada Abu Hassan Salmeh, principale arteria di Chatila. Chi viene arrestato e portato nello stadio sarà ritrovato morto ancora ammanettato, spesso buttato in piscina. Gli ultimi abitanti vengono portati via sui camion.
Alle 10 cala il silenzio su Sabra e Chatila. Le milizie sono uscite; non si scorge anima viva nel fetore di quelle strade. Solo qualche ora dopo i sopravvissuti inizieranno ad uscire dai rifugi, e il dolore si trasformerà in grida, mentre osservano più di 2000 cadaveri mutilati, dilaniati, stuprati, lasciati marcire al sole. I riconoscimenti avverranno solo in parte, visto che molti erano stati già gettati in fosse comuni. C’è una donna che urla… ha intorno a se i cadaveri dei suoi 7 bambini, tiene tra le braccia il corpo dilaniato della più piccola, di soli 4 mesi. Si tira la terra in testa, urla, «E ora? Dove andrò? E ora?».
Sulle mura delle poche case rimaste in piedi si leggono gli slogan della Falange “Kataeb”: «Dio, Patria, Famiglia».
«Quali assassinii di donne? Si fa una storia per niente. Da anni uccido palestinesi e non ho ancora finito. Li odio. Non mi considero affatto un assassino. Ne verranno ancora assassinati migliaia, ed altri creperanno di fame», le parole di Hobeika saranno difficili da dimenticare. Neanche per il popolo israeliano è facile accettare l’idea di essere corresponsabili di una simile azione, l’indignazione popolare è profonda. Un corteo di 400mila persone invaderà Tel Aviv con slogan diretti contro il governo e Sharon.
Il 20 settembre, Amos Kennan sulla più importante testata israeliana, Yedioth Ahronot , scriverà: «In un sol colpo, signor Begin, lei ha perduto il milione di bambini ebrei che costituivano tutto il suo bene sulla terra. Il milione di bambini di Auschwitz non è più suo. Li ha venduti senza utile».
Oggi ci sarà ancora una commemorazione, sulla piazza della fossa comune, all’ingresso di Chatila. La popolazione dei campi andrà a salutare, a portare avanti il ricordo di quei giorni neri in cui si è cercato casa per casa il più innocente per trucidarlo, in cui si è perpetrato uno sterminio scientifico e atteso da molto tempo. Il giorno più bello per le falangi cristiano-maronite, l’ennesima nakba (tragedia) per i palestinesi che malgrado tutto continuano a lottare, a sperare in un ritorno, ad esistere.
Come diceva Mahmud Darwish, grande poeta palestinese da poco scomparso, «Il mio popolo ha sette vite. Ogni volta che muore rinasce più giovane e bello». Basta passeggiare per le vie dei campi profughi del medioriente per capire che grande verità è questa.
Nel 2002, il tribunale dell’Aja prova ad accusare Sharon di crimini contro l’umanità per le evidenti responsabilità durante il massacro. Il processo nasceva dalle accuse del comandante Hobeika, che aveva deciso di far luce sui fatti. Avrebbe dovuto farlo i primi di febbraio,testimoniando in aula. Ma non ha fatto in tempo: è saltato in aria il 24 gennaio 2002.
La verità su Sabra e Chatila, comunque, non ha bisogno di tribunali per essere sancita. E’ chiara, scritta, visibile ancora oggi ad occhio nudo.
Tutte le citazioni sono tratte dal libro “Sabra e Chatila Inchiesta su un massacro” di Amnon Kapeliouk (Editions du Seuil, 1982)
 L'ho riportato integralmente (grazie a "Polvere da sparo") perchè quello che mi fa incazzare, addirittura oltre la barbarie successa a Sabra e Chatila, oltre la politica del governo israeliano e oltre la guerra disumana in cui dei "Cristiani" maroniti o calderoliti che siano uccidono, stuprano e torturano, abbiamo dei media talmente ignobili ed indegni di qualsiasi accostamento alla parola "dignità" che a soli 5 giorni di distanza dal Santissimo Subito 11 settembre trattano questo massacro così sottotraccia da risultare quasi dimenticato.
Forse perché gli anziani, le donne ed i bambini uccisi quel giorno non erano esseri umani.
Forse perché chi gestisce l'informazione ha deciso quale deve essere la nostra memoria.
Ma io mi sono rotto i coglioni di far congetture dal basso della mia condizione di precario con la terza media. E ho scelto. 
Tenetevi le vostre memorie, pezzi di merda.
Tenetevi le vostre commemorazioni a comando, i vostri "giorni della memoria" a gettone.
Io mi tengo le mie.
E le mie sono per tutte le vittime, di qualsiasi razza e colore, con l'unico tratto in comune di aver perso la vita a causa della sete di potere, della ignobile e schifosa pretesa di sentirsi al di sopra dei propri simili. Cioè quello che cercate di perpetrare ogni giorno, in ogni vostra merdosissima pagina dei vostri merdosissimi giornali, delle vostre merdosissime televisioni e veicolate dai vostri merdosissimi cervelli.
Non vi odio, avete semplicemente smesso di esistere.

GLI OTTANTA NERI 6

Credo di essere uno dei pochi esseri umani ad aver ascoltato "Metal machine music" di Lou Reed per intero più di una volta.
Valga come premessa.
Pensavo che mai più niente di simile sarebbe stato pubblicato e se fosse successo sarebbe stata opera di qualche compositore di musica contemporanea appena lasciato dall'amante.
Nello specifico sono stato smentito niente meno che da Pat Metheny all'inizio degli anni '90 quando il chitarrista pubblicò "Zero tolerance for silence", che mi capitò in mano per la semplice ragione che ero proprietario di un negozio di dischi, perché di cazzate nella vita ne ho fatte e ne farò ancora tante, ma comprare un disco di Pat Metheny è proprio fuori da ogni calcolo di probabilità.
Beh, quel disco mi piacque davvero molto.
Però c'era già chi coi rumori ci palleggiava allo stesso modo con cui Maradona lo faceva con il pallone.
Sì, vabbè, Luigi Russolo. Ha ha.
No, sto parlando di Glenn Branca. Un chitarrista che ha fatto scuola in tutti i sensi.
Cercate di immaginare un'orchestra di sole chitarre elettriche effettate e manipolate. Bel casino, eh?
Eppure i suoi lavori sono materia di studio anche per chitarristi affermatissimi e dei più svariati generi.
Se vi capita di mettere un'orecchio su "Symphony N°5" o "The ascension" o "Symphony N°1 Tonal plexus" capirete il perchè.
Un assaggio da "The ascension" dovrebbe dare un'idea. Ma non è di lui che volevo parlare.

L'orchestra di Glenn Branca ha la responsabilità di aver consegnato al rock due tizi MOLTO poco raccomandabili che con lui hanno mosso i primi passi verso un approccio allo strumento che, nonostante non possa essere chiamato rivoluzionario (o forse sì se contestualizzato) ha sicuramente segnato un punto di svolta nella musica rock.
I due tizi molto poco raccomandabili rispondono al nome di Thurston Moore e Lee Ranaldo.
Ed a questo punto è ovvio che il gruppo che voglio mettere sotto i riflettori sono i Sonic Youth.
Che a mio modesto parere sono il gruppo più importante di tutto il decennio '81/'90.
Il mio primo acquisto della band newyorchese fu "Bad moon rising" ed a distanza - oddio che palle invecchiare - di non so quanti anni, presumo una trentina o giù di lì, ancora devo ascoltare qualcosa che mi dia la stessa frustata che ricevetti ascoltando quel disco.
L'inferno. Ecco cosa vidi.
Una rappresentazione perfetta dei miei demoni, dei miei quesiti irrisolvibili sulla Vita, sulla sofferenza, sulla rabbia, sul mio sentirmi fuori posto dovunque, sulla mia voglia di urlare fino a distorcere le frequenze dell'universo, sulla mia necessità di vedere un qualsiasi oltre rispetto a ciò che potevo vedere e sentire.
Fino all'ultima traccia del disco. Il carico da 11. L'epitaffio perfetto per ciò che il rock era stato fino ad allora.
Ma andiamo per ordine.
"Bad moon rising" è un disco cattivo, proprio come la luna crescente del titolo.
Rumori inquieti ed inquietanti, canzoni che anche il più scafato dei registi di film horror non avrebbe il fegato di usare come colonna sonora (è successo ai Coil, i quali composero 5 pezzi per "Hellraiser", mica "Via col vento", ma furono rifiutati dal regista in quanto "troppo agghiaccianti", li trovate nell'EP "The unreleased themes for Hellraiser") e no, non ci sono canzoni ad effetto, il tutto suona perfettamente vero e vivo, primale, umano, troppo umano. Rock 'roll, quindi. Anche questo. Eppure immaginate cosa deve aver provato un ragazzino al cospetto di un'inizio come questo all'alba degli anni '80.





Ed il resto, un crescendo di onde - come chiamarle - SONICHE (?) - pause infernali (Society is a hole e I love her all the time sono agghiaccianti) ed esplosioni elettriche che inducono a domandarsi da dove e con che cazzo riescano a tirar fuori quei rumori. La risposta me la sono data quando li ho visti dal vivo, uno spettacolo incredibile nel quale Thurston Moore violentò letteralmente almeno 4/5 chitarre.
E poi c'era lei, Kim Gordon.
Una delle donne più affascinanti mai viste in un gruppo rock.
 Algida, distante, eterea con quella voce tirata fuori quasi per forza mentre il suo basso martella più forte di una pressa. Inutile dire che mi ha smosso interi battaglioni di ormoni giovanili.
Dicevo dell'ultimo brano del disco: non saprei che dire, in realtà.
"Death valley '69" è una vera e propria cavalcata negli inferi, il tema è Charles Manson e la sua banda di folli, ma non credo che il vecchio Charlie abbia avuto la capacità di concepire una rappresentazione in musica di se stesso e della sua family così rabbrividente, anche non basandosi sul fatto che Manson ha inciso dei dischi, ma sono ballate acustiche piuttosto canoniche (relativamente, eh).
Ovviamente quello che ha fatto va messo su un altro livello, ma non siamo qui per fare una disamina su Charles Manson e la Family, magari prima o poi ne scriverò perchè al di là dell'aberrante assassinio di Sharon Tate e dei suoi amici presenti quella sera nella villa più quelli che seguirono il personaggio non può essere liquidato come un semplice assassino.
In "Death Valley '69" compare la voce di Lydia Lunch, altra personcina raccomandabilissima, al che direi che non resta che pigiare "play" qua sotto:




Non passò molto prima che mi procurassi "Confusion is sex"ed il loro primo LP ancora un pò immaturo alla luce delle produzioni successive. E da lì ogni nuovo lavoro è stato un avvenimento per tutto il decennio:
"Evol", "Sister" e soprattutto il capolavoro assoluto della band, "Daydream nation" sono stati letteralmente fusi dalla mia Ortofon che sto rimpiangendo come poche cose al mondo. Quindi passo ad una rapida carrellata di esempi partendo da (poteva mai essere diversamente?) "Ho un blocco cattolico"





 Perché i riff sono importanti anche per un gruppo come Sonic Youth.
"Sister" è un disco in gran parte ispirato dallo scrittore Philip K. Dick, e si conclude con quello che presumo sia un omaggio, "Master Dik", uscito anche come EP moooolto più lungo della media (40 e passa minuti)





"Sister" è un disco che, come il precedente "Evol" è leggermente più, come dire, fruibile tanto che la popolarità del gruppo comincia a farsi sempre più vasta, merito anche di canzoni come "Tom violence" e "Starpower" che coniugano alla perfezione stile e ricerca senza perdere il marchio di fabbrica che ormai la band ha impresso nel panorama indipendente statunitense:




Poi arriva "Daydream nation", un doppio LP. E in questo disco i Sonic Youth danno il meglio. Il picco creativo, l'apice. A partire da "Teenage riot" e "Silver rocket", una partenza col botto per un disco che non dovrebbe mancare a chiunque voglia farsi un'idea di quanto gli anni '80 siano stati un decennio irripetibile per la musica, e non solo il rock.




E poi, il passaggio alla Geffen, "Goo" che doveva essere il lancio sul grande mercato solo che nello stesso periodo una band appena messa sotto contratto dalla stessa etichetta fece un botto epocale prima che un altro botto, stavolta di fucile, mise una lapide non solo su Kurt Cobain ma su tutta la scena indipendente degli anni '80 che erano finiti da poco e già sembravano lontanissimi.
"Goo" comunque vendette molto bene ed anche i successivi lavori ("Dirty", "Washing machine" e "NYC ghosts and flowers") continuano ad essere a portata di mano, anche se più per ragioni personali che per l'effettiva qualità - sempre altissima, ma diciamo pure che la spinta innovativa della band era palesemente esaurita.
Nonostante "Goo" sia del '91 non posso far mancare "Kool thing", un esempio perfetto della dimensione in cui i Sonic youth si erano proiettati. Nel video compare Chuck D. voce dei Public Enemy, rimpiantissimo gruppo - dechè?- rap?, hiphop? - fanculo, erano i Public Enemy, i più grandi di tutti, insieme ai Disposable heroes of Hiphoprisy di Michael Franti, nella scena rap/hip-hop/Yo/check check/ e che per me poteva chiudere bottega dopo questi due giganti.



Cionondimeno non cessa invece la logorroica voglia di esprimersi del gruppo: Lee Ranaldo aveva già dato alle stampe un lavoro piuttosto ostico quanto valido ("From here to infinity" nel 1987) mentre Thurston Moore vanta un consistente numero di collaborazioni, album solisti e progetti alternativi curati perlopiù con la Sonic Youth records e l'altra etichetta di cui Thurston è coordinatore, la Ecstatic peace.
Ma queste sono storie dai '90 in poi.
Come le comparsate in cartone ne "I Simpson" e dal vero in "Gossip girls".
Resta l'incontrovertibile fatto che i Sonic Youth sono stati il gruppo che ha rivoluzionato l'uso della chitarra nella forma canzone; "noi non suoniamo solo le nostre chitarre, suoniamo i nostri amplificatori" amava dire Thurston Moore e questo è ciò che ha rotto certi schemi nell'approccio al rock.
Ben oltre il muro di feedback dei primi Jesus and Mary Chain (e comunque davanti a "Psychocandy" in ginocchio e reverenza), sono stati dei veri pittori di suoni. E di conseguenza di emozioni.
Ed io continuo incessantemente a desiderare un bacio da Kim Gordon.