Quando il Buffo Omino di Arcore cominciò ad espandere per tutto il Paese il suo potere mafioso e mediatico questa destra proclamò che avrebbe cambiato culturalmente il paese.
Dopo vent'anni si fatica a trovare qualcosa che possa rappresentare una evoluzione, di qualsiasi direzione si parli, di modelli culturali, movimenti, filosofie, idee, arte e insomma tutte quelle belle cose che dovrebbero elevarci dalle forme di vita animale, vegetale ed inerte.
Solo rimasticamenti in salsa cafona di concetti talmente obsoleti e sciatti per cui la ragione di tanto attecchimento fra una vasta popolazione economicamente benestante fa molto dubitare della capacità dell'essere umano di sapersi godere l'intelligenza avuta in dono.
Chi sono i "pensatori", gli "artisti", i "filosofi" e gli intellettuali" di questa destra?
Vuoto.
A meno che non si voglia assurgere a ranghi del genere gente tipo Giuliano Ferrara, Luca Barbareschi, Marcello Veneziani, Renzo Martinelli, Vittorio Sgarbi, i cinepanettoni e tutta quella pletora di personaggi sparati ad alzo zero eche dovrebbero tentare l'impresa di legittimare culturalmente la dismissione del patrimonio culturale cosiddetto "di sinistra" ma che invece a mio avviso andava letto come il patrimonio culturale dell'Italia dal dopoguerra fino alla fine degli anni '70.
Dopodiché abbiamo avuto la pretesa di vivere di rendita in modo talmente sfacciato che il pupazzetto che avevano lì pronto col compito di sotterrare tutto il possibile è saltato fuori da un tubo catodico col sorriso a 32 denti a dire che avrebbe dato un milione di posti di lavoro.
Ancora peggio si è lasciato crescere nelle periferie il fenomeno identitario che fa capo a fascismo e derivati senza muovere un dito. Anzi, guardando spocchiosamente ed allontanandosi sempre di più da quelle fasce che da più deboli diventavano precarie e poi disperate.
Anche ora col neonato movimento dei Forconi, sembra che a tirare le fila ci siano personaggi di formazioni politiche come Forza Nuova che sono cresciute ben protette e nella totale indifferenza delle forze "progressiste".
La nostra base culturale dal dopoguerra in poi ha, a mio avviso, la sua espressione più alta nel campo dell'arte.
Letteratura, cinema, musica e tutto il resto.
Ma qui viene il bello.
E' tutto quello che è stato abbandonato.
Non siamo andati avanti, l'arte è stata sempre più confinata fra i surplus non necessari alla civiltà tecnologica.
Ormai non si parla di integrare ma di sostituire.
E non abbiamo più chi racconta l'Italia come tutto il filone cinematografico del dopoguerra riuscì a fare dandoci sì un'identità, ma era un'identità che apparteneva a tutti. Ora i "poveri" sono rappresentati in maniera macchiettistica ma col marchio dei semplici sfigati. I "Brutti, sporchi e cattivi" devono sparire.
Puzzano anche al cinema.
E in questo carrozzone quella che qui in Italia viene identificata come "sinistra" ci ha sguazzato alla stragrandona.
Ma se avete tempo e voglia fate un giro su Google con ben puntato in mente i risultati attuali e cercate di farvi un'idea di come la politica, e quest'ultima stagione culturalmente egemonizzata dalla destra in particolare, ha ridotto questo settore.
Grazie anche ad un ministro dell'Economia per cui "con Dante non si mangia".
Campare di rendita con queste cose non si può.
I partiti sono entrati con la loro proverbiale delicatezza in questo settore più di quanto fosse loro umanamente legittimato. Non si è protetto abbastanza il cinema ed il suo patrimonio di scuola attoriale, non si è protetto il patrimonio musicale, quello che permetteva agli artisti di essere più importanti del mercato, che c'era e funzionava a meraviglia. Non si proteggono le strutture dei cinema, dei teatri e degli studi di posa che vengono dismessi per fare perlopiù posto a megafranchising o centri commerciali di cui si sente l'utilità allo stesso modo di un grappolo di emorroidi.
La stagione del velinismo rimarrà una delle più avvilenti della storia di questa terra che, in tempi di guerre civili sfornava i Totò e i Petrolini, quello che prendeva le medaglie e proclamava "Il Duce mi ha dato questa onorificenza e io me ne fregio!"
Se un primo passo dobbiamo davvero farlo è il riprenderci lo spettacolo.
Le strutture. E rimettere in moto la forza che portava nelle periferie il messaggio della rappresentazione popolare, quella che resisteva nei film della nostra commedia e che risuonava nelle corde dei nostri menestrelli, che fossero di nylon o di ferro non importa.
Se solo guardo alla mia città vedo una forza d'urto impressionante, ad esempio; il problema nasce principalmente dalla dipendenza, soprattutto dalla misura della dipendenza nei confronti della politica.
E dalla legislazione in materia, che è l'arma della politica.
Ora, credo che il discorso sia sufficientemente vasto e quindi lo riprenderò in più post e senza l'intenzione di scomodare Debord nè le attuali correnti controculturali che continuano almeno a tenere viva qualche fiammella con tutte le opinabilità possibili (ad esempio WuMing) partendo da un'idea di base situazionista, corrente in cui noi italiani dovremmo eccellere ma sulla quale spesso cadiamo in contraddizione proprio sul versante politico.
Troppo pensiero compresso da ritmi non nostri, a mio avviso.
Intanto come primo semplicissimo punto metterei il riappropriarsi delle strutture esistenti frequentandole.
La osa potrà sembrare incredibile, ma è probabile tenere ben allenata la testa uscendo a vedere un qualsiasi spettacolo che piazzarsi davanti alla TV. Anche un puzzolentissimo spettacolo nel teatrino del laboratorio di quartiere. O il musicista nel pub vicino casa. Anche per parlarne male dopo. Lo so che costa e appunto, vediamo se poi si può bussare a certe porte riguardo certo modo di legiferare sullo spettacolo.
Dicevo, la destra voleva cambiare culturalmente il paese.
Vediamo se ci riusciamo prima noi, quelli a cui questa destra e "questa sinistra" non hanno niente da comunicare se non la loro avidità e la loro miseria.
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