A quella parte di persone che probabilmente ha guardato compiaciuta la stretta di mano tra la vedova Pinelli e la vedova Calabresi mi viene d'istinto di dire che non è il caso di farsi fregare.
Certo è che i gesti di conciliazione sono sempre emozionanti e rassicuranti, almeno quanto tendono a tirare un bel rigo sul passato con l'obbligo d'ora in poi di guardare avanti.
Riconosco nella mossa di Napolitano un lodevole richiamo a riportare alla luce quei morti, come Pinelli, la cui storia si compenetra perfettamente nel clima in cui l'Italia ha vissuto nelle stagioni più calde del dopoguerra e che hanno visto gran dispendio di vite umane; è ovvio che lo Stato ricordi le vittime di quelle stagioni, i suoi poliziotti, i suoi magistrati, tutte quelle persone che fecero le spese di un clima "democratico" irrespirabile.
Ma guardando l'Italia di oggi, normalizzata, xenofoba, razzista, priva di ogni dignità davanti ad un ducetto di plastica, ci chiediamo se non sia il caso di ricordare altri morti. Perchè ai morti per mano di quegli stessi organi di Stato, alle loro famiglie, nessuno ha mai pensato.
Faccia pure lo Stato quando ricorda il commissario Calabresi: in questo articolo di Ulisse Ognistrada dal sito di Senza Soste che riporto integralmente c'è qualche nota che anche nel ricordo è bene non dimenticare:
LUIGI CALABRESI, IL "COMMISSARIO FINESTRA"Contrariamente a quanto si pensi, l'opera di falsificazione e repressione, compiuta da Calabresi. non inizia con le indagini su piazza Fontana e con l'omicidio Pinelli, ma alcuni mesi prima.
Sono tre anni che Calabresi è nella squadra politica, ma già si mette in evidenza quando deve fronteggiare le manifestazioni e lo fa con rara rabbia, da buon figlio della borghesia artigiana, riuscendo a procurarsi alcune denunce per ATTENTATO AI DIRITTI DEI CITTADINI contraddicendo le voci che (oggi) lo dipingono come un “moderato”.
Il 25 aprile 1969 scoppiano due bombe alla Fiera di Milano ed alla stazione centrale, Calabresi indirizza le indagini in una sola direzione, sui gruppi extraparlamentri di sinistra e sugli anarchici, indagini che portano al fermo di 15 militanti di sinistra; si aspettano mesi per interrogare gli arrestati, ma nonostante la cocciuttaggine del commissario aggiunto, dopo sette mesi i fermati vengono rilasciati per mancanza di indizzi, alzando un caso politico che finirà davanti al tribunale dell'Aia per i diritti dell'uomo.
Il 12 dicembre 1969 alle 16:37 in piazza Fontana, nel centro di Milano, esplode una bomba provocando diciassette morti e ottantotto feriti, ma in quel giorno non sono le sole: una seconda bomba fu rinvenuta a Milano nella Banca Commerciale, successivamente fu fatta brillare distruggendo elementi importanti per risalire a chi avesse preparato gli ordigni. Altre tre esplodono a Roma causando 17 feriti. Cinque attentati nel pomeriggio dello stesso giorno, concentrati in un lasso di tempo di soli 53 minuti.
Le indagini milanesi guidate dal Commissario Calabresi si indirizzano, immediatamente e senza dubbi, su anarchici e gruppi di sinistra portando al fermo, senza prove o accuse, di centinaia di persone tra cui un ferroviere anarchico: Giuseppe Pinelli.
Per smentire le ciarle di chi ancora oggi sostiene la storia del buon commissario, Pinelli racconta ad un fermato di sentirsi perseguitato da Calabresi e di avere paura di perdere il posto alle ferrovie, inoltre lo stesso fermato, sbirciando i fogli d'ordine lasciati su una scrivania legge del “trattamento speciale” riserbato a Pinelli: non farlo dormire e tenerlo sotto pressione per tutta la notte.
Il 15 dicembre nelle stanze al quarto piano dell' ufficio politico ci sono ancora un centinaio di fermati che, dal venerdi' delle bombe, sono sottoposti a continui interrogatori e pestaggi. Aldo Palumbo, cronista dell'Unita' di Milano, muove i primi passi per attraversare il cortile ed è l'unico a sentire il tonfo della caduta di Giuseppe Pinelli dalla finestre dell'ufficio del commissario Calabresi, lo vede a terra, morente. Il giorno dopo troverà la sua casa sotto sopra in segno di chiaro avvertimento nel caso che Pinelli, morente, avesse rivelato qualche cosa. La mattina dopo tutti i quotidiani escono a grossi titoli con la notizia del suicidio del Pinelli.
Perché Pinelli avrebbe dovuto suicidarsi?
Tutti quelli che lo conoscevano sapevano che disprezzava i suicidi e li condannava, diceva che erano vigliacchi. Non solo: era anche un veterano degli interrogatori (oltre 20) e conosceva bene i sistemi della polizia. Il trucco della confessione di Valpreda (il maggiore indiziato come esecutore della strage) con lui non poteva funzionare.
La storia di Pinelli suicida non regge perché chi si butta nel vuoto fa un salto e non sfiora il muro, come accadde a Pinelli e non rimbalza su due cornicioni. Pinelli è stato gettato dalla finestra dell'ufficio di Calabresi.
Tralasciando le incongruenze, le menzogne ed i depistaggi sulla morte di Pinelli, è utile ricordare, per capire chi era Calabresi, che nel 1971, dal processo sugli attentati del 25 aprile, saltano fuori particolari umilianti per la polizia, verbali spariti, altri falsificati, biglietti messi in tasca ad un imputato. Le accuse crollano, Calabresi viene fischiato in aula e gli sono accollate tutte le responsabilità. In quei giorni la stampa rinfocola le accuse a Calabresi, anche giornali notoriamente non di sinistra lo accusano.
Nonostante queste premesse, la polizia premia Cabresi nominandolo commissario capo. Un modo per dire : “bravo hai fatto un buon lavoro”.
A questo punto la figura del commissario capo Calabresi è chiara.
Torture in interrogatorio, depistaggio di indagini, verbali falsificati e uccisione di Pinelli.
Come sappiamo la realtà giudiziaria è una, spesso pilotata, molte volte di parte.
La realta storica ha, di contro, fatto il suo processo ed emesso la sua sentenza.
(Ulisse Ognistrada tratto da Senza Soste n°33)
Allora, quando si parla di memoria, mettiamo in tavola tutti coloro che sono rimasti uccisi nella strage di Piazza Fontana, nel treno Italicus, a Piazza della Loggia, alla Stazione di Bologna; tutti
coloro che sono rimasti uccisi durante manifestazioni per mano della Polizia, leggete pure il link e non spaventatevi del numero così alto; accipicchia, eh? Un bel numero di ragazzi e un bel numero di autoassoluzioni, non c'è che dire. E questi morti di quale memoria fanno parte? Chi dà loro la dignità del ricordo?
Allora andiamoci piano: i nostri governanti vogliono equiparare repubblichini e partigiani, cioè chi ha contribuito a fare dell'Italia uno Stato democratico e chi, attraverso torture, massacri e rastrellamenti in cui ha steso il tappeto rosso alle belve naziste, hanno cercato di difendere una dittatura infame che ha portato l'Italia alla sconfitta in guerra lasciando solo morti e macerie.
E non se la sente ancora, gesto di Napolitano a parte, di rendere dignità a quelle persone ed a quei ragazzi che sono morti affinchè l'Italia non diventasse quel paese di merda che è diventato, dove dei babbuini in camicia verde dettano legge in materia di etica e gestione del territorio insieme al sunnominato ducetto di plastica.
Costa poco ricordare a questo Stato che la memoria di un popolo ha molte sfaccettature e non necessariamente è quella iconografica che si cerca di imporre mediaticamente o con leggi infamanti. Costa poco ricordare allo Stato che tra i tanti suoi integerrimi servitori si annidano cancri malefici di cui il popolo italiano farebbe volentieri a meno. Costa poco ricordare allo Stato che tanti morti chiedono proprio a questo Stato non tanto riconoscimenti quanto Giustizia.
Ricordiamoci di farlo, ogni tanto.