giovedì 10 dicembre 2009

MAESTRI


Non oso pensare cosa potrebbe provocare un'analisi di quanto andrò a scrivere nella mente di uno degli omofobi repressi sdoganati dal clima che si respira nella nostra bella Italia; non oso pensarlo, e quindi non perderò altro tempo a preoccuparmene.
Però giuro che se dovessi dare una tesi di laurea in antropologia mi incuriosirebbe molto studiare la gamma di minchiate che gli italioti medi saprebbero tirare fuori dall'argomento.

L'argomento è la diversità TRA omosessuali.

E lo spunto mi è venuto leggendo QUESTO articolo nel quale, se mai ce ne fosse bisogno, il Grande Maestro Franco Zeffirelli conferma e ribadisce la sua statura di uomo, di artista e di libero pensatore.

Io non ho mai lavorato per Zeffirelli, ma ho avuto L'ASSOLUTO ONORE di aver lavorato per un grandissimo uomo di teatro che risponde al nome di Paolo Poli.

Leggendo, per l'ennesima volta, l'esibizione di volgarità, doppiezza e spocchia assolutamente immotivata mostrata da un mediocre regista, capace solo di riempire di vuota retorica allestimenti lirici che sviliscono perfino la prosopopea del teatro di tradizione, svuotandolo del suo fascino prettamente popolare senza aggiungere elementi innovativi che possano dare un'identità che giustifichi il titolo di "Maestro" (e non parliamo dei film per pura compassione) e che quindi può piacere solo a vecchie zoccole ingioiellate, mi viene spontaneo associarlo alla puntuta levità ed alla assoluta passione che Paolo Poli sprizza da ogni poro della pelle anche alla veneranda età di 80 anni.

Quando può, Paolo Poli arriva di buon'ora in teatro, si siede di lato dal palco, accavalla le gambe e guarda i facchini ed i macchinisti lavorare agitando un ventaglio. Non parla, non mette bocca, non interviene, non dà direttive, semplicemente guarda. Magari scambia due parole con la sarta, magari confabula con il direttore di scena, ma l'impressione è quella di un artista che quotidianamente si gode lo spettacolo della messa in scena di una rappresentazione come se lui non sia assolutamente conscio di esserne il protagonista.
Invece lui è il Re, la Regina, il Motore Primordiale, l'Alfa e l'Omega delle 15 ore che intercorrono dall'arrivo delle scenografie in teatro alla chiusura dello scarico quando il camion accende il motore per ripartire verso un altro teatro.

Un signor vecchietto? Neanche per idea. Conosco diciottenni più vecchi di lui e senza la sua monumentale esperienza di vita e di arte. Life is what you're making of it. La vita è quello che ne fai.

Lindsay Kemp è un altro falso vecchietto che ancora dipinge i propri sogni sulle assi di un palcoscenico alla veneranda età di 71 anni. Credo viva immerso una nuvola rosa fucsia fluorescente popolata di soavi mostrilli dalle forme improbabili. E' sotto contratto col teatro per cui lavoro come curatore del laboratorio giovani/adulti e col quale ha già allestito una "Cenerentola" che abbiamo messo in scena durante la scorsa stagione, ma con Livorno ha una relazione che risale a molti anni fa, dice che gli ricorda Wight, l'isola dove è nato. Beato lui, dico io. A me Livorno ricorda Livorno e se esistesse un posto simile da qualsiasi altra parte del mondo gli farei causa anche solo come livornese adottivo.

Lindsay Kemp è una persona incredibile, che permea l'aria che lo circonda di soave leggerezza e di movimenti lenti e che inesorabilmente vanno a toccare il lato fantasmagorico della vita; il suo obiettivo è DONARE se stesso e la sua arte come un regalo, non fare sfoggio di vuoti e retorici artifici che riempiono la rappresentazione al fine di ingrassare lo spettatore dallo stomaco, invece che dal cuore.
Vedere come dirige ed educa i suoi allievi all'arte dello stare in palcoscenico è a sua volta un'esperienza imprescindibile per chi voglia anche solo capire cosa significa sperimentare l'approccio al sè in relazione ad un pubblico, qualsiasi pubblico, che è lì, a pochi passi dal proscenio e ti guarda mentre cerchi di spiegare con la tua propria mimica la vita, la morte, la nascita, la gioia, la sofferenza e l'estasi e tutto quello che lo spettacolo vuole comunicare.

Donare e concedere sono due modi antitetici di rappresentare e rappresentarsi.

La brutta, ignorante e servile sceneggiata di Zeffirelli è solo un'estensione di quello che è sempre stata la sua indole ed il suo approccio all'arte. Se qualcuno di voi ha avuto la fortuna di leggere una qualsiasi "seria" intervista a Paolo Poli (memorabile una pubblicata su "Frigidaire" negli anni d'oro della rivista) o a Lindsay Kemp, uno che nel suo curriculum può mettere l'essere stato l'ispiratore ed il coreografo di quella icona della musica e dell'immagine ad essa associata di nome David Bowie e del suo Ziggy Stardust, non troverete traccia di alcun nesso riconducibile tra il Maestro Zeffirelli ed i due LAVORATORI di teatro, Paolo Poli e Lindsay Kemp, due lavoratori che possono fregiarsi del titolo di Maestri proprio perchè nè loro nè nessun cantore delle gesta dei registi teatrali dei nostri disastrati media si sogna di usare per loro quest'appellativo.

Quello che mi preme sottolineare in tutto ciò è quanto basta poco per rendersi conto di quanto gretta, ignorante, stupida e CONTRONATURA può essere la mentalità di chi generalizzando riesce ad unire due modi antitetici nell'approccio all'arte, e quindi alla vita, semplificando tanta complessità di espressioni umane sotto il marchio "FROCI".

Dove va l'umanità? So una sega, so solo che c'ha un branco di strada da fare.



2 commenti:

jesup ha detto...

negli anni 70,da bambino mio padre mi portò a teatro vedere per la prima volta Lindsay Kemp.Ne rimasi estasiato,mi sembrava tutto magia.Ricordo anche che a quei tempi,il maestro,anche di vita,Paolo Poli benchè omosessuale evidente,era gradito e apprezzato dal comune sentire bigotto di quei tempi.Anche da mio nonno che voleva mandare in miniera tutti i "capelloni".Tranne che dalla chiesa.Omosessuale e comunista dichiarato.

Lindalov ha detto...

Paolo Poli è un signore.