lunedì 26 settembre 2011

GLI OTTANTA NERI 8

Non sono mai stato fra quelli che riesce a riconoscere un chitarrista dal tocco, fatta eccezione per Jimi Hendrix.
Anzi, ad essere onesto non sono un cultore di chitarristi tout court.
Oltre a Jimi ce n'è uno solo che riconosco alla prima pennata, ma non per il tocco o per il modo in cui imposta le scale durante gli assoli, ma dal SUONO.
Ed appena parte il pezzo, un qualsiasi pezzo, al secondo 0:02 subito mi esce dalla bocca: "HUSKER DU"!
Perché quel suono, quell'onda elettrica che esce dall'amplificatore che sa di pioggia mista a fango, violentissima e carezzevole non può essere altro che la chitarra di Bob Mould.
Gli Husker Du sono un gruppo che se non fosse esistito tutti gli anni '80 non sarebbero stati gli stessi.
Mi rendo conto che l'affermazione è un pò azzardata, ma sono perfettamente in grado di supportarla con tanto di prove.
Sono stati il primo gruppo proveniente dalla scena punk/hardcore a firmare per una major, la Warner Bros., dopo una militanza nell'etichetta SST di Greg Ginn, chitarrista dei Black Flag, un'etichetta che può essere considerata a tutti gli effetti un mito.
Qualche nome che ha inciso per la SST, al volo: Black flag, Bad Brains, Minutemen, Screaming trees, Meat puppets, Replacements, Firehose, Descendents, Soundgarden, Saint Vitus, Saccharine trust.
Tanto per gradire.
Al momento della firma per la Warner Bros. gli Husker Du contavano già su una nomea inossidabile e di una discografia di eccezionale livello che aveva garantito loro un seguito appassionato e devoto.
La loro storia inizia in maniera molto rumorosa: l'esordio è un album dal vivo, "Land speed record" inascoltabile ai limiti della cacofonia per chiunque non mastichi hardcore, una furia incontrollata che non ha nulla a che fare con gli assalti furiosi, ad esempio, dei Discharge di "See nothing, feel nothing, hear nothing" e "Why?".
Qui è tutto molto più scomposto, ad iniziare dalla produzione e dalla resa su vinile.
Il disco sembra registrato con un microfono Geloso vagante fra l'audience, per essere onesti, ma effettivamente il risultato finale è stupefacente. Inutile prendere un pezzo a sè. "Land speed record" è un disco che va messo su, fatto partire e lasciato andare lasciandoci aggredire senza opporre resistenza.
Esce l'anno dopo "Everything falls apart", che dà un'idea più precisa delle potenzialità della band. E del suono inconfondibile che caratterizzerà i lavori successivi. Sicuramente non è fra i loro lavori imprescindibili, ma è abbastanza valido da creare una certa attesa nel circuito hardcore, proprio nel momento in cui la scena andava compattandosi sulla spinta della situazione politica che vedeva l'astro di Ronald Reagan iniziare la sua tragica ascesa. Arriva "Metal Circus", un EP di 7 pezzi e dall'attesa si passa alla quasi certezza che qualcosa di grosso sta bollendo in pentola. Perché pezzi come "It's not funny anymore" e "Diane" dimostrano che gli Husker Du non sono un semplice gruppo hardcore ma una band con un'identità ben precisa e personale, a partire proprio dal sound della chitarra di Bob Mould, nonchè dal drumming del batterista Grant Hart.




Corre l'anno 1984 quando esce "Zen Arcade".
Non so quanti di coloro che stanno leggendo qui conoscano bene questo disco, quanti lo abbiano ascoltato a fondo, quanti lo amino o quanti lo considerino semplicemente un disco punk fra i tanti usciti negli anni '80.
Posso solo consigliare a chi volesse avere un disco che rappresenti un'icona per tutto ciò che è ed è stato il punk post '77 e la sua ramificazione hardcore di rivolgersi senza nessun indugio a questo disco.
Innanzitutto "Zen Arcade" uscì come disco doppio. Una cosa inaudita per un gruppo hardcore come era considerata fino a quel momento la band di Minneapolis. Ma a conti fatti la cosa risultò anomala solo per chi manteneva anche nell'approccio alla scena punk un atteggiamento conservatore, perché "Zen Arcade" è niente più niente meno che il capolavoro assoluto ed imprescindibile del punk anni '80.
E questo in un decennio che di capolavori del genere ne ha visti parecchi: da "Damaged" dei Black Flag, a "Repeater" dei Fugazi, a "Rock for light" dei Bad Brains (anche se con il "Live" è una bella gara) o con "Suffer" dei Bad Religion.
"Zen arcade" è un disco che definire Hardcore non è solo riduttivo, è stupido.
Innanzitutto la scrittura. I brani sono firmati individualmente o da Bob Mould o dal batterista Grant Hart.
Ed ognuno canta i propri pezzi. Mould ha una scrittura fluida, dal tratto riconoscibile, la struttura è assimilabile ed in certi tratti quasi melodica, quando non addirittura simile a quelli di una ballata, ma il sound è quello ormai inconfondibile che marchierà a fuoco la carriera della band. Grant Hart ha anch'esso un approccio alla scrittura fondamentalmente punk, ma anch'esso ha una personalissima capacità di sviluppare canzoni dalla presa immediata e coinvolgente, il suo drumming poi fa il resto perché Hart ha un modo di impostare i ritmi con uno stranissimo gioco di cassa e rullante e che rende comunque i brani assolutamente trascinanti nonostante difficilmente si sente il canonico 4/4 in controtempo suonato normalmente nell'hardcore. "Zen Arcade" non è un disco omogeneo, tanto per usare un eufemismo, e questo per una band proveniente da quella scena significa mettersi in gioco, e pesantemente.
L'altra caratteristica che pone l'album su un altro piano rispetto alle altre band hardcore dell'epoca è che "Zen Arcade" è un concept album.
La storia è quella di un adolescente di fronte alle proprie problematiche ed alienazioni che passano dai conflitti familiari, alla ricerca di un proprio concetto di disciplina, alla spiritualità, alle droghe ed al senso di inutilità, per poi scoprire che il suo viaggio è accaduto in sogno e che al risveglio le problematiche sono ancora lì per essere risolte.
Ma anche questo aspetto che li accomunerebbe più ad una band prog rock, proprio quelle che il punk aveva intenzione di spazzare via, si risolve con una personale vittoria nel lasciare intatta la propria attitudine.
A partire dalla coppia che apre il disco: "Something I learned today" e "Broken Home, Broken heart".
Alla terza traccia parte "Never talkin'to you again" e prima strabuzzata degli orecchi. Una ballad acustica, nervosa e declamatoria in minore. E poi si vola: "Chartered trips":




Si può notare come il sound non sia propriamente simile ad un curatissimo prodotto da studio.
In effetti "Zen Arcade" fu registrato in meno di una settimana ed in presa diretta, dopo mesi e mesi di prove in una chiesa sconsacrata diventata uno squat.
Ma ogni musicofilo che si rispetti sa benissimo che non è necessario usare tecnologia ad alta sofisticazione per fare un grande disco.
E le perle in questo disco abbondano. Due fra le tante:




Ma impossibile racchiudere in poche righe la compattezza e la magìa di questo disco se si considerano tracce come "Somewhere", "Newest industry", "Turn on the news" ed il delirio finale "Dreams reoccurring" che chiude il disco.
Dopo cotanto capolavoro il marchio è ormai fatto.
Segue un uno/due che ne solidifica definitivamente la reputazione di band imprescindibile; a breve distanza l'uno dall'altro escono "New day rising" e "Flip your wig".
C'è chi riesce ad argomentare su questi due dischi cercando improbabili differenze, ma a mio parere è un esercizio assolutamente retorico: sono due bellissimi dischi di canzoni degli Husker Du.
Se proprio si vuol trovare una caratteristica infatti, questa risiede nella riuscita di alcune tracce che esaltano la qualità della scrittura di Mould e Hart che partoriscono dei brani che diventeranno dei veri e propri inni per la loro ormai nutrita schiera di fans. "New day rising", ad esempio, ha un inizio killer:




 seguito dalla splendida "The girl who lives on heaven hill"




e tutto il disco contribuisce a rafforzare la nomea di alfieri dell'anomalia hardcore: i testi, più che cantare un disagio nei confronti della società, puntano ad una analisi più introspettiva e personale, una revisione dei sentimenti e della propria difficoltà di comunicare che col tempo andrà sempre più ad acuirsi.
"Flip your wig" continua su questo sentiero e contiene pezzi ancora memorabili, nonché il loro primo vero e proprio singolo: "Makes non sense at all"




I ritmi si son fatti meno forsennati, ma l'inconfondibile sound del gruppo non fa che acquistarne in resa della scrittura dei due leaders della band, che continuano ad avvalersi del basso preciso e grintoso di Greg Norton, pedina comunque imprescindibile della band. "Flip your wig" li incorona definitivamente come pionieri della ricerca melodica in ambito punk e la maggior parte dei brani rimangono stampati in mente indelebilmente già dopo pochi ascolti. Ancora un grande disco, quindi.




E qui succede quello che ogni punk duro e puro sperava non accadesse mai, la firma con la Warner Bros.
Ovviamente si levano voci indignate urlanti al tradimento, ovviamente la polemica indie/majors, cos'è punk e cosa non lo è, se il punk esista ancora o abbia raggiunto un punto evolutivo per cui stia diventando anche "altro" si sprecano.
Personalmente non posso fare a meno di notare che, truffa del rock 'n roll a parte, il punk è nato sulle etichette major, inutile girarci intorno.
I Ramones uscirono per la Sire, cioè la RCA. E così Dead Boys e Johnny Thunder & the Heartbreakers.
I Clash uscirono con la CBS, mentre i Damned uscirono per la Stiff records che era già una etichetta poco assimilabile ad una major ma era distribuita anch'essa dalla RCA.
Lo provano le copie promozionali dei 45 giri per DJ che ho ancora in casa dove ho da un lato "Sex & drugs and rock 'n roll" del grande Ian Dury e "Born to lose" di Johnny Thunder & the heartbreakers dall'altro lato con etichetta Stiff per il primo ed etichetta Track records per il secondo e marchiata RCA in copertina su entrambi i lati.
Parimenti è fondamentale riconoscere il fatto che, passata la prima onda, è stato proprio il lavoro fatto dalle etichette indipendenti quello che ha permesso a gruppi eccezionali come ad esempio quelli della SST, ma anche a pietre miliari come Dead Kennedys, Minor Threat (che avevano la loro Dischord, altra etichetta-mito), Bad Religion o Discharge di presentarsi sul mercato senza l'ausilio delle grandi major discografiche e raccogliere un seguito più che importante in tutto il mondo.
La firma degli Husker Du con la Warner Bros. spezzò questo percorso.
E al di là delle considerazioni etiche il risultato fu un altro bellissimo disco, "Candy apple grey".
Questo dopo un altro Ep, l'ultimo su SST,  contenente la cover di "Eight Miles High" dei Byrds, un'altra anomalia per la band, con una resa sorprendentemente eccellente ed in perfetto stile Husker Du.
"Candy apple grey" è un bellissimo disco degli Husker Du inciso per una major. E si sente.
Sia nella scrittura che si sta avviando ad una maturità che probabilmente è da correlare con l'esperienza e la crescita umana del gruppo, sia nel sound che si fa più "pulito" nonostante la chitarra di Mould ed il drumming di Hart siano ancora gli stessi. Spuntano le ballad, alcune bellissime come "Too far down" che rimarcano la vena intimista e fondamentalmente depressa di Bob Mould, alcune ancora ancorate alla attitudine marchio della band "Sorry somehow", ad esempio:




anche se a mio parere l'episodio più riuscito del disco è senza dubbio "Eiffel tower high" che riassume da solo il vecchio ed il nuovo percorso della band:




Il gruppo non è da charts di Billboard comunque, anche se le vendite sono incoraggianti tanto che la band nel lavoro successivo se ne esce con un altro doppio: "Warehouse: songs and stories".
Che non è, non vuole essere e comunque non sarà mai un altro "Zen Arcade".
Anzi, per dirla tutta sarà l'epitaffio degli Husker Du.
Le tensioni tra Mould e Hart hanno raggiunto il punto di non ritorno, la band non ha più la spinta del periodo migliore ed anche i pezzi cominciano a risentire di un certo manierismo sintomo di crisi creativa ed umana della band.
Nonostante ciò non mancano episodi di livello altissimo, come "Ice cold ice"




Ed in tutta onestà il disco in sè sarebbe anche un bel disco che potrebbe essere catalogato come power-pop /punk se qualcuno avesse il coraggio di usare una definizione idiota come questa; invece nonostante il marchio Husker Du sia sempre riconoscibilissimo, "Warehouse: songs and stories" risente più del confronto con i lavori precedenti che per la qualità del disco in sè. Ma anche questo è sintomatico del fatto che la parabola del gruppo ha preso una china discendente.
Anche se c'è chi lo considera a tutt'oggi il loro disco migliore.
Non il sottoscritto, per quello che serve.
Il gruppo si scioglie dopo una data in Missouri, sfibrata dalle tensioni fra i due leaders, acuitesi dopo il suicidio del manager della band, e dai problemi di eroina di Hart.
Un live, "The living end" uscito immediatamente dopo lo scioglimento, mette la lapide sulla band che più di ogni altra ha marcato l'evoluzione della scena hardcore degli anni '80.
Non credo che sia stata adeguatamente rivalutata anche perché pur avendone discretamente tracciato il sentiero è stata travolta dall'uragano grunge arrivato subito dopo. Ma il tempo non potrà che rendere loro giustizia.
Sempre che una giustizia esista.
Chiudo con una frase inserita da Bob Mould nella copertina interna di "Warehouse: songs and stories":
"La rivoluzione inizia al mattino, preferibilmente davanti allo specchio del bagno"
Sottoscrivo.

4 commenti:

Leandro Giovannini ha detto...

bel post,davvero. ho conosciuto gli husker du con Candy Apple Gray, per poi andare a ritroso con gli altri lavori, secondo me avevano una marcia in più rispetto, che so', ai più celebrati soundgarden. Belli anche in versione power-pop della fine, genere tra l'altro che ha dato bei gruppi e notevoli lavori.

brazzz ha detto...

davvero un altro gran bel post, sei sempre competente e passionale...mi son sempre piaciuti abbastanza,anche se non fra quelli che mi hanno sconvolto allora( e son parecchi)..il discorso major etichette indipendenti..bà,lungo e complesso.forse allora un minimo di idnntità riuscivi a mantenerla, oggi non credo.questione complessa,e non credo esista una unica verità..

allelimo ha detto...

Harmonica: gli Husker Du hanno pubblicato dischi tra il 1982 e il 1987, i Soundgarden dal 1987 al 1997.
Azzarderei, spero senza offendere nessuno, che non c'entrano una cippa gli uni con gli altri, sia musicalmente che temporalmente: diciamo punk i primi e hard-grunge i secondi, faccio fatica a trovare i punti di contatto.

Sor Lurè ha detto...

Chiunque scriva più di una singola lettera sugli Husker Du nel 2011 gode del mio massimo rispetto.